Questa foto non è solo una foto

L’articolo pubblicato su Repubblica.

Avrebbero potuto non dirsi niente, mettersi l’uno a fianco all’altra, posare immobili davanti alla macchina fotografica. Avrebbero potuto raccontare, muti, la storia di un’inaspettata addizione: drag queen più carabiniere. E scommettere sul risultato: simbolo di tolleranza o precipizio di indecenza?

E invece hanno pure chiacchierato, a margine del Gay Pride palermitano: lui, carabiniere nordico, e lei, drag queen nota come Lady Greg.

La foto che li ritrae insieme a piazza Virgilio, finita nel vortice di una viralità telematica che contagia molto e coinvolge poco, ci tramanda una strana urgenza perché, per dirla con Paul Cézanne, è necessario affrettarsi se si vuole vedere qualcosa, poiché tutto scompare. Nel tritacarne del nuovo sentire comune in cui i brandelli del diverso – per censo, natura, indole, religione, sesso, pensiero, persino intenzione – sono destinati a diventare poltiglia da smaltire, manco da riutilizzare, il tempo gioca un ruolo fondamentale. Bisogna far presto per mettere al riparo i simboli e cristallizzarne il significato. Prima che l’onda del nuovo ordine confonda schiuma e pesci. Prima che il carabiniere e la drag queen siano costretti a ripensarci, magari a scusarsi ciascuno col suo copricapo in mano.

Eppure il costume e l’uniforme, con lo sfondo ordinario di un pomeriggio cittadino caldo e sudista, sarebbero una perfetta narrazione per un sistema sociale che anela alla sicurezza come un naufrago guarda la barca di salvataggio (certo magari questo non è il paragone più opportuno, dati i tempi…). Sembrerebbero esser messi lì apposta per dire: tranquilli, non è questione di colore, persino l’arcobaleno finisce per poggiarsi sul grigio della terra. Invece, siccome Cézanne non era un fesso, è bene conservarlo in fretta, quello scatto, per gustarsi una novella trasversale su ciò che è e ciò che avrebbe potuto essere. Quella foto a Palermo, non una città a caso, la città che accoglie per vocazione in un Paese che respinge per decreto. Accogliere non significa solo aprire un porto o firmare una petizione, bensì aprirsi al confronto: che sia drag queen, ministro o carabiniere poco conta, ciò che importa e che si dovrebbe insegnare in tutte le scuole (compresa la famosa, affollatissima, università del web) è lasciarsi raccontare una storia nel senso più classico. A seconda delle nostre predilezioni, il carabiniere e la drag queen possono rappresentare un esempio di quanto sia potente la calamita della curiosità, oppure essere lo spauracchio per spacciatori di falsità a tutti i livelli. Ciò che è strano, stupefacente, esiste in natura ben prima di Facebook, ergo un’immagine vera e insolita può essere il miglior modo di combattere le realtà drogate. E per dire che nella nostra città accadono cose complesse e semplici al tempo stesso, e non c’è da stupirsi di questa mistura logica in salsa agrodolce perché complessità e semplicità sono categorie soggettive della nostra visione sociale. L’una non esclude l’altra. Come altre categorie meno soggettive: la munnizza e la cultura, il traffico e la libertà di manifestare, lo straniero e il nativo.

Sarà una favola o forse no, di certo c’è una morale. Per dipingere un nuovo mondo non basta requisire tutti i pennelli e pasticciare qualcosa sulla tavolozza davanti alla folla plaudente. Servono piuttosto una sana allergia alla noia e la felicità intellettuale di chi sa che l’unica uguaglianza alberga nelle diversità. Tutte.

Il Gay Pride e il tempo che non passa

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Il difetto del Gay Pride è nei colori fuori dal tempo, come un maglione dimenticato per anni in fondo all’armadio. Più prosaicamente: è l’involucro che potrebbe-dovrebbe essere rivisto, mentre la sostanza è di struggente attualità.
Il Palermo Pride 2013, l’evento degli eventi in campo nazionale quando si parla di LGBT (l’acronimo utilizzato per riferirsi a persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender) parte coi migliori auspici: voluto da Comune e Regione insieme, potrebbe essere una manifestazione di svolta se solo ci si affidasse ai tempi scanditi dal tempo in cui viviamo.
Il governatore Crocetta, entusiasta sostenitore dell’iniziativa, incarna la figura dell’omosessuale impegnato, coraggioso, mai nascosto dietro una presunta diversità: sarebbe il testimonial perfetto per svecchiare un Gay Pride che ha ancora nella parata finale il suo momento clou. Perché la sfilata dei carri con trionfo di travestimenti sarà pure una cosa seria, seria come una parata di carnevale o il concerto finale della sagra del caciocavallo, ma è anche la retromarcia dell’emancipazione per chi non vuole vedere fenomeni da baraccone che si prendono i fischi dei malacarne ai bordi della strada.
C’è una modernità per tutto: sino a qualche anno fa a Palermo la strada era il luogo deputato per ogni protesta, oggi la strada è quasi esclusivamente degli operai della Gesip e di qualche sparuto gruppetto di studenti in astinenza da manganellate; prima ci si indignava per un bacio saffico sulla spiaggia di Mondello, oggi per fortuna discutiamo delle coppie di fatto e ci battiamo per i matrimoni gay; prima c’era il pretore Salmeri che rivestiva i manifesti coi culi inguainati nei jeans, oggi c’è l’anarchia di Youporn. I tempi cambiano, perché non il Gay Pride? (…)