Non so se la sentenza di condanna per i giovanissimi autori dello stupro del Foro Italico a Palermo sia congrua o meno. Di certo tra lo sconto per il rito abbreviato e altre imperscrutabili afferenze giuridiche mi pare giusto che ci sia una sentenza chiara e inequivoca. E soprattutto che questa serva da monito non tanto per futuri aspiranti stupratori (oddio) quanto per una generazione (non più fatta solo da giovanissimi, ahimè) che ritiene la vita reale un succedaneo di quella virtuale. Sin dall’inizio di questa storia gli smartphone e la smania di riprendere le gesta immonde del branco sono stati determinanti, come se un fatto non esistesse se non lo si può immortalare. Di più, anche dopo lo stupro alcuni protagonisti di questa storia terribile hanno continuato a imperversare sui social. E non era senso di onnipotenza, ma stupidità potentissima: e per quella non c’è pena che tenga, servono libri, libri, libri, un ergastolo di libri. Per questo non è il tintinnar delle manette che oggi conta (orribile vestigia di un passato crudele come la perversione di Torquemada senza coscienza) ma il suono antico della campana del diritto. Ciò che è sbagliato va punito senza fanfare, ciò che è giusto non consente di infierire su colui che sbaglia.
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Foro Italico di Palermo. Foto di Andrea Calcagno.