Tutto meraviglioso

Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini con Zoff, Causio e Bearzot sul DC9 militare che li sta riportando da Madrid a Roma. Sul tavolo la coppa del Mundial, 12 luglio 1982.

E lo so che 34 anni fa vincevamo un Mondiale, anzi il Mondiale. So anche che molti di voi non c’erano e se c’erano dormivano (o poppavano). So che eravamo forti e affamati di vita. Tutti, giocatori e semplici tifosi. So che allora il calcio era una metafora della vita e non un suo surrogato. E che il mondo girava sempre a fatica, ma senza ansia di prestazione. So che coltivavamo il desiderio di lasciare un’impronta, e che la navigazione anonima era sinonimo di pirateria, quindi di qualcosa di sbagliato. Il migliore strumento di geolocalizzazione era il citofono: una risposta dava una certezza con la minima approssimazione umanamente immaginabile. So che ci si contava prima di armarsi ed eventualmente partire.
Nel 1982 eravamo campioni del mondo. Unici.
Nel 2016 siamo un campione del mondo. Qualunque.
Ma forse siamo solo invecchiati e tutto in fondo è meraviglioso, a nostra insaputa.

Anno 1982: Italia campione del mondo, per merito mio

Marco Tardelli, Italia Germania 1982

Non era nemmeno una tentazione. E’ stato un gesto spontaneo: ho preso il telecomando e clic. La partita era iniziata da dieci minuti, nonostante si fosse svolta trentadue anni fa. Non ho nemmeno dovuto far finta di sorprendermi quando quel disgraziato di Cabrini ha sbagliato il rigore: mi sono incazzato e basta. Ho invidiato l’aplomb di Nando Martellini che non aveva l’invadenza presuntuosa di Canessa e ho imprecato per ogni fallo su Oriali.
Italia-Germania, finale dei Mondiali, anno 1982.
L’ho rivista l’altra sera su La7, come qualche migliaio di italiani. E come tutti – ne sono certo – mi sono ritrovato con la stessa pulsione agonistica di allora, in un cortocircuito temporale che non mi ha né stupito né allarmato (l’età avanza per tutti).
Quando il rito si è consumato per intero, cioè allo storico “campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo!”, mi è stato chiaro il sortilegio di cui tutti noi eravamo stati vittime. La partita era un catalizzatore di energie positive, un mezzo di trasporto verso un non-luogo in cui non solo eravamo giovani ma persino eterni. E non è il normale meccanismo dei ricordi, che magari danno nostalgia o provocano rimpianti, no: è una garanzia di felicità perenne.
In quella partita i morti – da Scirea a Bearzot a Pertini – saranno vivi finche ne resterà memoria catodica e la nostra ordinarietà di sopravvissuti sarà nascosta dalla vittoria epica.
Io me lo ricordo bene.
Non è stata la testa di Paolo Rossi a mettere il pallone dentro la porta dell’odiato Schumacher, ma la mia.
Non è stato di Tardelli l’urlo simbolo di un’Italia indomabile, ma il mio.
Non è stato il gol di Altobelli a far scattare in piedi l’incontenibile presidente Pertini (“Non ci prendono più!”), ma il mio.
Così è stato. Così sarà per sempre.