Viva i fischi

Secondo Gianni Morandi e il clan Celentano i fischi dell’Ariston al Molleggiato erano pilotati. Al di là degli indizi – poltrone vuote in platea dopo l’esibizione e protesta sinergica – colgo l’occasione per stigmatizzare l’intolleranza molto italiana nei confronti della protesta dello spettatore.
Da sempre resto un sostenitore della libertà di dissenso anche nei luoghi di culto dell’arte. Se uno spettacolo non piace, è facoltà di chi assiste manifestare la propria delusione. Altrimenti si diventa folla adorante, che ha altre garanzie e modalità di reclutamento. La politica ci ha abituati all’allergia del potere verso i fischi, e proprio per questo noi andiamo al cinema, al teatro, ai concerti. Per dimenticare la grettezza degli arroganti che stanno in alto senza alcuna virtù e che pretendono silenzio intorno.
Pilotati o no, i fischi a Celentano potevano essere meritati o meno. Ma comunque, e inderogabilmente, leciti.

La lingua di Bingo Bongo

Tra le cose che ho letto a favore di Celentano – poche a dire il vero – ci sono alcuni equivoci travestiti da argomenti: un artista deve aprire gli occhi al mondo; finalmente qualcuno ha parlato chiaro; però canta benissimo.

Oppongo una manciata di obiezioni a buon mercato.
1)    Un artista non è un mahatma.
2)    Un mahatma usualmente non parla dal palco dell’Ariston.
3)    Il palco dell’Ariston è il trampolino della canzone italiana.
4)    La canzone italiana non c’entra un tubo con i giornali cattolici.
5)    I giornali cattolici fanno il loro mestiere e non gli si può chiedere di fare i giornali di Bingo Bongo.
6)    Bingo Bongo parlava la lingua degli animali e non quella di Celentano.
7)    Celentano ha dato sfogo alle sue pulsioni senza il filtro dell’arte.
8)    L’arte è una cosa seria.
9)    La serietà impone scelte e mal si concilia con l’insulto a ruota libera.
10)  A ruota libera – a parte pochi eletti dotati di grande saggezza –  vanno i gli pseudo (intellettuali, politici, giornalisti): almeno durante il Festival di Sanremo lasciateci cantare.