Silenzio

Mi tiro fuori dalla canea di bravi commentatori sulla tragedia di Catania. Ne parleremo a mente serena. Restano la mia personale ammirazione per le forze dell’ordine italiane e il dolore per la morte di un QG di cui è bene scandire il nome: Filippo Raciti, ispettore capo.

La fiducia nello Stato

Per una congerie di eventi avverto l’esigenza di parlare bene di qualcuno. Un qualcuno generalizzato (QG) che fa un lavoro duro, guadagna poco, rischia molto. Potrei fare nomi e cognomi, ma so che i diretti interessati non la prenderebbero bene. Il QG mi ha restituito una fiducia nello Stato che non ricordavo neanche di aver perso, forse perché non avevo avuto modo di esercitarla da troppo tempo. Il QG consola con la forza di argomenti duri e sa spronarti con la sorpresa di un sorriso. Gestisce strategia e compassione, dovere e concessioni con un occhio alla legge e l’altro alla persona che ha davanti. Il QG non ha mai a che fare con allegre combriccole o brigate spensierate. Se cede alla propria indole deve essere pronto a pagarne le conseguenze. E per il QG il conto è sempre più salato. Il QG ama il proprio lavoro, non potrebbe farne uno diverso anche se vorrebbe lamentarsi per come viene trattato da chi dovrebbe fornirgli mezzi e incentivi che merita ampiamente. Il QG mette in pericolo la sua vita e non ha pubblico pagante ad applaudirlo quando l’ovazione se la meriterebbe davvero. Cuore e cervello, pugni serrati e pacche di simpatia, onore e onestà.
Non posso che parlare bene di questo QG che ha il nome di molti investigatori, funzionari, agenti della polizia di Stato. Le forze dell’ordine sono un pilastro di un Paese che perde certezze a ogni soffio di vento. Dovremmo ricordarcelo ogni giorno.

Ottomila lire di pane

Giornali, tv e siti web si cimentano da qualche giorno nella misurazione (con bilancino elettronico) delle buste paga degli italiani dopo le riforme. Si assiste alla rimonta degli impiegati, il che potrebbe tranquillamente ispirare un nuovo episodio di Fantozzi data l’entita della cifra: quasi venti euro in più! Nessuno per fortuna ha la faccia tosta di nascondere che tale aumento è abbondantemente sepolto da quel fattore balzano e birichino che è il costo della vita (cresciuto, of course). Per i dettagli vi rimando ai rutti mascherati da opinione di certi economisti da seconda serata. Quello che voglio urlare dal mio fortino telematico è talmente semplice che la famosa casalinga di Voghera potrebbe scriverci su un trattato.
L’EURO CI HA RESI PIU’ POVERI. I PREZZI AL DETTAGLIO SONO RADDOPPIATI MENTRE I NOSTRI STIPENDI SONO STATI SEMPLICEMENTE TRADOTTI IN CIFRE EUROPEE, RIMANENDO INALTERATI.
Ok, ok… mi ricompongo e cerco di restar calmo fin quando non arrivo dal panettiere, al quale verso ogni giorno tre- quattro euro, sette-ottomila lire!
QUANTO PANE CI COMPRAVATE QUALCHE ANNO FA CON OTTOMILA LIRE?
Pardon.
Buona giornata.

L’odore delle notizie

Ora che la pace è andata in onda proviamo a dare una riassettata. Il caro Silvio ha chiesto scusa a sua moglie Veronica nella pubblica piazza mediatica. Qualcuno – tra gli incoscienti del giornalismo – ha criticato Ezio Mauro per aver scelto di pubblicare la missiva della signora: il direttore di Repubblica, che sarà una persona pacata, è riuscito a trattenersi dallo sbottare in un “ma siete rincoglioniti?” ed ha ricordato che una notizia è una notizia. Specie se fa il giro del mondo in poche ore. I giornali non sono opere pie, sono imprese che vendono un prodotto: teniamolo a mente, nel bene e nel male.
Su questo vorrei soffermarmi. Le notizie non hanno odore, anche quelle che ci irritano, che ci fanno scattare dalla sedia, che suscitano una risata o che ci annoiano. Le notizie sono ciò che accade intorno a noi. Sono certi giornalisti a stare fuori da ciò che accade intorno a noi. Sono quelli saccenti, quelli che ritengono di sapere sempre qualcosa in più rispetto a ciò che altri devono ancora raccontare. Sono quelli che si fanno, essi stessi, notizia. Sono incauti nel dare giudizi prima di aver finito di leggere (o di ascoltare) chi sa qualcosa più di loro e vendicativi con chi dimostra loro la fallacità della presunzione.
Silvio e Veronica possono aver fatto pace o imbastito una panzana politico-domestica alle nostre spalle. In ogni caso sempre notizia è, è stata, sarà.

Veronica e Silvio

La moglie di Silvio Berlusconi, la signora Veronica, affida a la Repubblica una lettera nella quale chiede a suo marito scuse pubbliche. Il motivo sta nell’ennesima guasconata del celebre consorte in occasione – stavolta – della cena per i Telegatti. I dettagli potete leggerli nei link che vi ho fornito. La riflessione va su due piani ben distinti. E’ giusto che un privato cittadino lavi i panni in pubblico laddove il pubblico è la dimensione che gli ha dato fama e successo? Ovviamente sì. E può un personaggio pubblico avere diritto a una cortina fumogena che lo difenda dalle frecce del pettegolezzo senza che questo lo faccia sembrare odioso? Ovviamente sì ma è impossibile. Ecco quindi che i due piani, quello pubblico e quello privato, presi singolarmente ci portano verso la medesima conclusione. Il diritto alla privacy non ha un peso universale. E la signora Berlusconi lo sa, innanzitutto a proprie spese.
La sua lettera è dirompente perché introduce il tema della vendetta matrimoniale – sottile, nonviolenta, garbata seppur durissima – nelle vicende politiche. In Italia non siamo esperti in materia: gli americani meglio di noi conoscono quanto sia importante la vita sotto le lenzuola per la costruzione, la fine e l’eventuale rinascita di un personaggio pubblico. Veronica Berlusconi dà un doppio colpo al marito. Il guanto è ovattato, ma sotto c’è l’acciaio. All’uomo manda a dire che, se uno ha fatto una scelta matrimoniale e soprattutto ha una certa età, è da imbecilli trotterellare dietro gonnelle, scollature, veline e tettone. Al politico raschia la pelle perché solo così sa di poter trovare la carne viva di colui che un tempo è stato unto dal Signore.

In caso di disgrazia

Se vi è mai successo qualcosa di brutto avrete di certo verificato come, in certe situazioni, il sistema delle relazioni personali subisca modifiche drastiche. E come venga fuori sempre una certa tipologia di personaggi. In queste poche righe provo a darvi qualche esempio, basato sulla mia esperienza.
I preoccupati. Vi chiamano durante il fattaccio e calpestano, nel nome della loro ansia, qualsiasi briciola di buonsenso. Se c’è da piangere piangono più di voi. Se c’è da tirare un sospiro di sollievo si astengono. Non sono cattivi.
I saggi. Tengono il loro stato d’animo sempre un passo indietro rispetto al vostro. Vi lasciano parlare se lo ritengono giusto, in caso contrario vi interrompono con eleganza. A loro piace manifestarsi per marcare un elenco nel vostro cuore. Come dire, io ci sono sempre. Ovviamente sono i migliori.
I pelosi. Sono capaci di farvi raccontare mille e mille volte sempre la stessa scena dolorosa. Mascherati da amici, cercano solo di saziare la propria fame di dettagli che poi ricicleranno con pettegolezzi e starnuti di morbosità. A me ispirano violenza.
I ritardatari. Sono quelli che non vogliono mai smettere l’abito dell’amico\a oppure del parente (prossimoventuroacquisitodimenticato) anche a rischio di apparire ridicoli. Si manifestano giorni dopo l’accaduto con scuse alla John Belushi in “Blues Brothers”: “C’è stata l’invasione delle cavallette!” Dicono di avervi tempestato a vuoto di telefonate quando in realtà non hanno più il vostro numero da anni. Brillano per ipocrisia.
Gli indifferenti. Hanno mancato un’occasione per manifestarvi umana vicinanza: erano distratti, avevano altri impegni, non gliene frega niente di voi. Nella loro scelta mantengono una coerenza: continuare a fregarsene di voi nel bene e nel male. Fin quando non avranno bisogno di qualcuno, tutto bene.
I raffreddatori. Vorrebbero rimanere freddi e distaccati, ma non ci riescono. Sono persone che generalmente vi detestano. E cercano di far proseliti: come se dovessero togliervi una base di consenso persino nei momenti più difficili. Hanno bisogno di una lezione.
ps. Mi piaceva illustrare questo post con il libro di Simenon dal quale ho rubato il titolo. E’ un modo per consigliarvi una lettura utile.

Il fisico e il cervello

In un mondo che sembra girare al contrario, ciò che è normale fa scalpore. Il Los Angeles Time ha pubblicato le foto di Arnold Schwarzenegger a sessant’anni accostandole a quelle di quarant’anni fa e commentando il tutto con la seguente frase: “Padre tempo ha terminato lo splendore fisico del Terminator”. Non c’è nulla di male nel constatare che il tempo passa, c’è molta imbecillità nel far assurgere a livello di notizia il fatto che ciò accade. Mi piacerebbe poter aprire un giornale e vedere una foto del cervello del direttore del Los Angeles Time accanto a un grande punto interrogativo. E una didascalia: “Padre tempo ha terminato ciò che non ha mai iniziato”.

L’asino che vola

Un blogger australiano ha ammesso (o confessato) di essere stato pagato da Microsoft per modificare i contenuti di Wikipedia, la più famosa enciclopedia online. Per i due o tre internauti che non lo sapessero vale la pena di ricordare che Wikipedia è nata e prolifera come risorsa indipendente: chiunque può editare voci esistenti e scriverne di nuove. Io stesso ho l’onore di essere incluso nei suoi elenchi.
Sono molto sorpreso dalla sorpresa con la quale è stata accolta questa notizia, soprattutto dal fondatore dell’enciclopedia. Spesso la componente di ingenuità nei guru e nei geniacci rasenta la faccia tosta. E’ mai possibile che uno così intelligente – mi chiedo – possa alzare lo sguardo alla notizia che c’è un asino che vola? Perché apprendere che qualcuno – che sia Microsoft o mio cugino – abbia interesse, stupidità, coscienza o incoscienza per sabotare e\o cambiare dei dati sui quali il controllo è praticamente impossibile e poi dichiararsi delusi è quantomeno da incauti o da creduloni. Indipendenti sì, ma con giudizio.

Cade la pioggia

Il maltempo in arrivo, accolto quasi con sollievo dalla Protezione civile che ha potuto finalmente emanare qualche bollettino di allerta, segna la gioia degli operatori turistici di montagna e quella di un bel po’ di italiani stufi di girare in maniche corte dall’estate scorsa. In Sicilia col caldo e la siccità non si scherza: ve lo dice uno che, fino a qualche anno fa, era costretto a fare la doccia col cronometro. Poi le cose sono cambiate. Un premier è venuto nell’Isola e ha inaugurato un prezioso rubinetto, gli amministratori hanno foderato le città di manifesti anti sete, un presidente della Regione si è posizionato al vertice dell’ufficio speciale per la gestione dell’emergenza idrica. E soprattutto ha piovuto.
Per troppo tempo ci hanno voluto far credere che la mancanza d’acqua fosse una questione politica: colpa dei comunisti o comunque “di quelli che c’erano prima”. C’è sempre un prima da additare nella politica italiana. Poi per fortuna piove… con quel che ne consegue.

Il male assoluto

Dopo aver letto\ascoltato (ieri a Matrix, nei giorni scorsi sui giornali) i verbali dei magistrati sulla strage di Erba credo che quella coppia di assassini rappresenti il male assoluto. E’ difficile cimentarsi nell’attribuzione di una gradualità a concetti estremi come il bene, il male, la gioia, il dolore, la felicità, la perfezione. Proprio per renderli più a nostra misura solitamente tendiamo a relativizzarli, a interpretarli per similitudine o per contrappasso. Insomma, usiamo come appiglio un termine di paragone e in questo modo li diluiamo giorno dopo giorno.
Nel caso dei coniugi Romano ci si trova davanti a una violenza cieca che partorisce fredde esecuzioni, nella totale assenza di rimorso, nel buio di un obiettivo da raggiungere senza futuro. Questo è il male assoluto. Una spranga e un coltello da cucina che frantumano e tagliano senza la guida di una coscienza, anche la più lurida. Non c’è l’illusione di una speranza: i criminali si muovono per fini immediati, urgenti, soldi, potere, consento estorto. Gli assassini di Erba non cercavano alcun vantaggio mettendo in atto il loro piano. E’ come se fossero stati collocati nel mondo per darci un messaggio: contro il male assoluto perdono e vendetta a nulla valgono.