I libri che muoiono

Prendo spunto da un articolo di Francesco Merlo su la Repubblica di oggi per parlare di libri. Anzi di librerie. Come il giornalista fa notare, nelle librerie i volumi migliori non si trovano più e non resta che cercarli su internet.
Per la mia esperienza posso dire che la situazione è molto più grave di quella raccontata da Merlo. Se si escludono i megastore, i giganti del settore che trattano solo merce collaudata, glamour, pubblicizzata, impilata in solidi catafalchi cartonati che riproducono l’autore di grido a grandezza naturale, restano i librai quelli veri. La differenza è la stessa che passa tra un hard discount e una salumeria. Una cosa è comprare il prosciutto già imbustato, un’altra è assaggiarlo, sceglierlo, vederlo affettare.
Solo che ormai anche le librerie per così dire normali hanno perso genuinità.
Vetrine monotematiche, tutto lo spazio alle novità, qualche titolo immortale sugli scaffali, il resto via. I libri sono memoria e non scadono come le mozzarelle. Ci si dimentica che il tempo dà valore ai volumi che meritano di essere letti. E non c’è legge di mercato che giustifichi il macero di un’opera: fin quando ci sarà anche un solo lettore che cerca, quel titolo avrà diritto di rimanere in vita. L’argomento è ovviamente molto complesso. Da un lato i librai hanno problemi di spazio e spesso restituiscono al mittente casse di libri ancora intonse, dall’altro gli editori pubblicano troppo e male. I lettori stanno nel mezzo e acquistano in prevalenza ciò contro cui vanno a sbattere. Ecco perché il catafalco cartonato deve essere solido.

Marameo!

C’è un vantaggio a leggere storie e notizie online: non si consuma carta. E la carta, soprattutto quella patinata delle belle rivistone di moda che si pagano al chilo, si ricava dalle foreste. E’ di ieri un appello di Greenpeace, cui volentieri mi associo, per salvare dalla distruzione le foreste primarie della Finlandia. Stora Enso a qualcuno può ricordare il cognome e nome (con refuso) di un emigrato meridionale; in realtà è un colosso mondiale della carta. Questa holding finnico-svedese risulta essere la principale acquirente di fibre di legno dall’agenzia statale Metsähallitus, che sta distruggendo le preziose foreste affidatele. Con il legno proveniente da queste foreste, Stora Enso produce carta per riviste stampate in tutto il mondo, Italia inclusa, e risme da fotocopie. Pochi giorni fa 240 scienziati finlandesi hanno chiesto di fermare il taglio nelle foreste naturali del Paese. Secondo voi li hanno ascoltati o gli hanno fatto marameo?
Ecco, ci siamo capiti.
Se qualcuno vuole restituire il marameo alla multinazionale e\o alla agenzia statale di cui sopra clicchi sui rispettivi ipertesti e segua la strada verso un “about us”, lì troverà qualche email con cui sfogarsi.
Ps. Mi sembrava inopportuno affibiare a questo post l’etichetta “erbaccia”, trattandosi di un argomento “vegetale”. Ho deviato verso le “certezze” che derivano dalla vostra sensibilità.

I più belli


Quando alcuni scienziati si mettono d’impegno riescono a diventare compagni di strada di certi esponenti politici: dimostrano in modo eclatante la loro esistenza in vita, ma misterioso resta il senso del loro cammino.
Un gruppo di ricercatori polacchi ha individuato nella top model Naomi Campbell e nell’attore Christian Bale (Batman e The Prestige) la donna e l’uomo più belli del mondo. Che un manipolo di scienziati – polacchi eh, mica americani, italiani o di altri Paesi goderecci! – s’intesti una simile campagna è già una notizia che fa sorridere. Ma che tra i criteri di rigore scientifico ci siano – udite udite! – l’altezza, il peso e il girovita è una notizia da urlo: fermate le rotative!
Questi signori hanno scoperto, dopo lunghe indagini, che la Campbell ha, proprio come la donna perfetta, “gambe lunghe, cosce e polpacci più magri rispetto alle altre donne”. L’uomo che più si avvicina al fisico perfetto è il 32enne Bale: “E’ alto più di un metro e ottanta e ha le gambe della stessa lunghezza della parte superiore del corpo”.
Insomma roba da non crederci! Non è la prima volta che, in questo blog, mi trovo davanti a notizie di una simile caratura che riguardano tette e culi. Ma stavolta ho esaurito tutti i punti esclamativi.

Palermo sempre più cool

I simboli contano, soprattutto se si vive nella città più cool d’Italia. Quello che vedete sopra è un pregiato esempio di pubblica cartellonistica stradale a Palermo. Poco conta il dettaglio (un’intera borgata sconvolta da irrinunciabili lavori per la rete fognaria), molto conta invece la qualità del rimedio a un disagio. Se un disgraziato, da tre settimane a questa parte, vuole tornare a Palermo da Mondello si trova in un dedalo di budelli, controsensi, trincee e indicazioni su cartone scritte a mano con una grafia incerta. Eppure la cartellonistica è uno dei punti forti dell’amministrazione orchestrata dal sindaco Diego Cammarata. Basta guardarsi intorno ed è un fiorire dei famosi manifesti (vedi foto piccola) che celebrano la presunta svolta di questa città nei titoli di alcuni giornali. Probabilmente per avere una segnaletica stradale come si deve bisognerà aspettare che qualche quotidiano stampi a tutta pagina: “Per Palermo sempre dritto”.

La lettera di Giuseppe

Uno studente napoletano ha scritto una lettera ai giornali chiedendo perché sui media si parla di scuola soltanto quando c’è un atto delinquenziale di mezzo. YouTube e telefonini, secondo questo ragazzo che si chiama Giuseppe, non sono le due facce dell’universo giovanile, ma due elementi che spettacolarizzano la parte peggiore di una minoranza di giovani.
Ha ragione Giuseppe nel chiedere che le generalizzazioni vengano evitate, anche se in tal senso sono dubbioso dato che esse sono la linfa purulenta della nostra informazione.
Spero che abbia ragione anche nel rivendicare a nome di una generazione il giusto profitto per ciò che di buono la scuola produce: non ho i mezzi per giudicare, ma non posso nascondere un certo scetticismo. La scuola è fatta di studenti e molti di loro sono impigriti dalla comunicazione a distanza, ingrassati dall’ozio mentale e prigionieri della noia. Qualche decennio fa si comunicava guardandosi in faccia, la casa era nelle proteste delle mamme “un albergo”, e se proprio non c’era nulla da fare si sudava per strada dietro a un pallone. C’erano meno tv e più carta stampata sotto forma di libri, fumetti, figurine. I giocattoli non invecchiavano facilmente e anche da scassati servivano per essere smontati, analizzati, sezionati sul tappeto della nostra stanzetta. Si andava a scuola con un altro spirito.
La lettera di Giuseppe si conclude con un bellissimo verbo: sognare. E questo mi dà fiducia.

Con la palla al piede

Ieri strillavano i giornali: l’Inter eliminata perde la testa. Il riferimento è alla partita col Valencia per la Champions e alla rissa finale.
Fin qui tutto male. Ma c’è di peggio. Con una dichiarazione surreale il presidente Moratti rasserena: “Non prenderemo provvedimenti contro i giocatori”. Malissimo.
Non mi interessano la dinamica della scazzottata, il rimpallo di accuse da asilo nido (“Ha iniziato lui!”, “No lui!”), la moviola e l’indagine della Uefa. Ho urgente bisogno che qualcuno ricordi a questi miliardari mutandati che sono pagati per dare il miglior spettacolo possibile. Con e senza palla tra i piedi. Dopo che gli stadi sono diventati quasi più a rischio delle caserme irakene ci vorrebbe un giudice vero (con toga e codice penale alla mano) per stangare i calciatori che violano le regole del vivere civile. Se prendo a pugni una persona in mezzo alla strada, nel migliore dei casi finisco in commissariato. Per i giocatori c’è un’altra giustizia, manco fossero coperti da immunità parlamentare. Quanto a Moratti non c’è che da attendere che rientri sul pianeta Terra.

Cuffaro e la coppola

Questa sinistra ce la sta mettendo tutta per mettermi in imbarazzo. L’ultima goccia nel vaso traboccante della mia pazienza è caduta ieri, quando su internet è stato diffuso uno spot del governatore della Sicilia Totò Cuffaro. Nel filmato, realizzato dall’emittente agrigentina Teleacras, il presidente della Regione scherza con una coppola in testa sul rapporto conflittuale col governo Prodi. E s’inventa un’ingenua battuta su una dichiarazione di guerra agli Stati Uniti “così gli americani occupano la Sicilia e fanno loro tutto quello che ci manca”.
Apriti cielo!
Da sinistra pioggia di critiche su tutto: la coppola, il dialetto, la “chimera indipendentista del bandito Giuliano”.
Chi mi conosce e chi frequenta questo blog sa quanta credibilità politica attribuisca, in piena libertà, al centrodestra italiano. Ma stavolta – anche stavolta, porca miseria! – sono costretto a mettermi le mani in tasca per evitare di darmele in faccia.
Guardate il video e ditemi, per favore, come un’opposizione seria e soprattutto sensata può mai sollevare argomenti simili. La coppola è ormai un accessorio che la moda esporta nel mondo, ci sono marchi registrati, si fanno mostre e sfilate con le coppole. Il dialetto è, nel peggiore dei casi, il simbolo di un’appartenenza culturale. La chimera indipendentista del bandito Giuliano poi… Cari politici del centrosinistra, se proprio non siete in grado di tenere a freno la lingua, prendetevi un addetto stampa dotato di cervello che filtri le vostre corbellerie!
Cuffaro non è un santo, ha i suoi problemi politici e soprattutto giudiziari.
Chi lo attacca con questi argomenti ha altri problemi. Di mestiere e livello culturale.

Letto, approvato e sottoscritto

Il balzello dei costi aggiuntivi per le ricariche telefoniche dovrebbe essere spazzato via dal decreto Bersani. In realtà sembra che alcune compagnie telefoniche si siano mosse, aumma aumma, per far rientrare in cassa questi soldi tramite qualche trucco. Tra clausole di contratto in corpo 0,1 e vincoli cartacei che sembrano d’acciaio i signori delle telecomunicazioni si mostrano alquanto antipatici. Antipatici, proprio così. Questi profeti della telefonoconomy occupano, nella mia personalissima hit parade della repellenza, il secondo posto dopo gli assicuratori e precedono i responsabili di centri di assistenza e riparazione di roba elettronica. Se ci fate caso è tutta gente che manovra soldi e responsabilità non controllabili. C’è sempre un cavillo o qualcosa che non sappiamo tra noi e loro. Non arriva mai la benedetta occasione nella quale riusciamo ad avere ragione. Provate a chiedere conto del servizio che vi hanno erogato: tra risposte stizzite, dedali di call center o invisibili norme “lette approvate e sottoscritte” vi manderanno a fare in culo. E voi ci dovrete andare.

Elogio di Pippo

Nella tana di montagna nella quale mi sono ritirato per una settimana c’era un’antenna parabolica scassata che mi ha elargito qualche frame di Raiuno. Per giorni ho attribuito a questa rarefazione di segnale una strana impressione: mi sembrava che il Festival di Sanremo quest’anno funzionasse!
Così ieri pomeriggio, appena rientrato in Italia, mi sono ritrovato – per la prima volta in una ventina d’anni – davanti alla tv per verificare la fondatezza di quell’impressione.
Avevo capito bene, il Festival quest’anno ha fatto il suo mestiere, quello di regalare canzoni italiane, di far discutere dei testi, di raccontarci di piccole polemiche e grandi sogni, di fare spettacolo insomma. E io, dopo il mio fallace vaticinio di due mesi fa, dovevo fare pubblica ammenda.
Detto fatto.
Pippo Baudo è un gran professionista, solido e tenace come solo chi ha radici ben salde sulle assi di un palcoscenico sa essere. E gli si perdona anche la spudorata furbizia di proporsi in diretta come esternatore nudo e puro, apolitico e apartitico. Baudo sa bene che il suo ruolo non è più quello di semplice presentatore. Da condottiero unico dell’ammiraglia della Rai che ha navigato con grande difficoltà nel mare di Sanremo conta più di un segretario di partito: un suo ammiccamento catodico sposta simpatie e voti, un suo starnuto in diretta fa correre al fazzoletto milioni di telespettatori. E’ la legge della popolarità. Il Festival non ha destino senza l’abile manipolazione di Pippo che, come tutti gli eroi, è un misto di coraggio e ruffianeria. Il resto – i Del Nocini, i politicuzzi, i Landolfini, gli Al Banucci – sono fragili pioli di una scala buona per finire in legna da ardere, il prossimo inverno. Se verrà.

In vacanza

Sono stati mesi molto faticosi, cari amici. Per questo e per qualche altro motivo di carattere personale ci vuole una bella vacanza. Ci sentiamo il 4 marzo.
Comportatevi bene, mi raccomando.

Gery