Con calma

Qualche giorno fa si è celebrata la lentezza: 24 ore dedicate allo slow life e, riferiscono le cronache, è stato un successo. Il rallentamento dei ritmi di vita è argomento che mette d’accordo medici, filosofi, preti e peccatori. Il gusto ha i suoi tempi e il trionfo ingiustificato del cronometro sulla clessidra lascia i segni. Dal cibo al sesso, dal lavoro al piacere, viviamo a mezzo respiro e tutto servizio.
C’era un vecchio giochino, che il grande Giorgio Gaber ha poi sublimato in una canzone, nel quale si incasellavano i valori a destra piuttosto che a sinistra e viceversa. La lentezza è di sinistra, come lo slow food, la domenica mattina in piazza, il panino con salame e provola. Ma potrebbe essere anche di destra, come il brunch, l’aperitivo al superpub, la chiacchiera in riva al mare. Di certo la lentezza è un valore aggiunto di noi meridionali. Quando ci chiedono di fare una cosa, non rispondiamo mai subito e direttamente. Se dobbiamo dire un “sì”, spesso ci scappa un “ora vediamo”. Che vuol dire sì, ma con calma.
Ps. Anche questo post è a tema. Arriva con un paio di giorni di ritardo

Previti e squali

Cesare Previti è stato affidato ai servizi sociali: presterà opera al Centro Italiano di Solidarietà di Castel Gandolfo. Il sacerdote che si è visto recapitare ‘sto bel pacco ha dichiarato: “Non so ancora che fargli fare”. Pensiero corrente vuole che l’ex ministro della Difesa condannato in modo definitivo per la vicenda Imi-Sir si vada proponendo come consulente legale. Credo che una specializzazione vada sempre assecondata, ma nello specifico eviterei di affidargli qualsiasi compito che preveda per statuto, cultura, semplice assonanza un rimando alla parola “legale”. Anche per dare un segnale a lui e ai suoi accoliti che hanno tentato in ogni modo di aggirare la legge con il più tracotante dei metodi: farsi una norma ad hoc. Amici del Centro Italiano di Solidarietà vi prego, tenete a mente che soltanto nei cartoni animati gli squali diventano vegetariani.

La geisha

Me la sono tenuta dentro per un giorno interno. E’ una storia che ho vissuto sabato sera, tre ore di follia che hanno messo a repentaglio quei pochi grammi di dignità che ho conquistato in 44 anni di vita. Ve lo dico brutalmente: sono stato una geisha.
Come da definizione ho vestito i panni di una “giovane donna giapponese istruita nella musica, nella danza e nell’arte del tè ed addetta a intrattenere gli uomini ospiti di conviti privati o pubblici”. Ora, in questa frase ci sono vari indizi che vi mettono sulla strada del travestimento carnevalesco. Innanzitutto la parola “giovane”, ancor più che “donna”: il trucco fa miracoli, ma le rughe per fortuna non mentono. Passi per “l’istruita nella musica”, ma la danza… Chi mi ha mai visto ballare ha conoscenza diretta dell’astrattismo legnoso, quell’orientamento artistico che accomuna esseri umani e bastoni di scopa. Quanto “all’arte del tè”, la cosa che intingo con maggiore disinvoltura nell’acqua è una compressa di Alka-Seltzer. L’unica verità è che ho intrattenuto “uomini ospiti di convitti privati e pubblici”, e non solo: chiunque (tra maschi, femmine e altro) mi abbia visto per strada, al ristorante, nella calca di una festa mi ha guardato con orrore, fotografato, abbordato, deriso, palpato. Se questo non è intrattenere!
A tarda sera, quando sono tornato a casa, mi sono imbattuto in uno specchio e mi sono trovato davanti un androide mezzo Platinette e mezzo Gene Simmons dei Kiss. Ho ancora nelle orecchie le risate della mia compagna, vera artefice di tutto questo. Il suo travestimento? Da strega naturalmente.

Nel frattempo

La misteriosa morte di Anne Nicole Smith resta oggetto di cronaca viva. Nel frattempo l’ex compagno sta litigando con la madre della modella per il luogo in cui la Smith dovrebbe essere seppellita. Nel frattempo un giudice ha ordinato che il corpo deve essere imbalsamato. Nel frattempo un ex-ex compagno rivendica la paternità della figlia della Smith. Nel frattempo si è accesa una polemica per l’eredità. Nel frattempo il regime di spavalda abbondanza cui l’ex playmate ci aveva abituati da viva si perpetua. Nel frattempo c’è chi comincia a chiedersi: ma è morta davvero?
Con una simile cronaca viva forse finalmente la povera Anne Nicole Smith ride di gusto.

Notizie

Ho lavorato per oltre vent’anni nei giornali e so come affluiscono le notizie e come vengono pesate dai redattori. Mi pare che ultimamente ci sia una recrudescenza di quel genere di notizie troppo belle per essere vere e soprattutto non valutabili dal punto di vista giornalistico. Mi riferisco a quei fatti che stanno tutti nel titolo e basta. Qualche esempio di ieri: via alla prima laurea in pompe funebri; Australia, ubriaco attacca uno squalo; elefante impazzito alla partita di polo; coreana canta al karaoke per 60 ore di fila; Paris Hilton (una assidua cliente di questo blog, nda) contestata dai comunisti a Vienna; la Carrà scopre di avere un cugino assessore.
Questo genere di notizie, solitamente originate da fonti che nessuno si sognerebbe di controllare, sono il paradiso del nuovo giornalismo: non comportano alcuno sforzo redazionale, sono così maneggevoli che possono andare in qualunque pagina, compresa la prima ovviamente. Ho quasi nostalgia della creatività professionalmente suicida di un collega che, negli anni Ottanta, per iniziare un articolo su un brutto incidente stradale scrisse: “Morti perché la pensavano alla stessa maniera”. Lo scontro frontale avvenne infatti mentre entrambi gli automobilisti erano in corsia di sorpasso.

La controfigura di Diliberto

Non sono mai stato tenero con Berlusconi. Del resto non mi piace il suo programma politico, non mi piacciono molti uomini del suo partito e della sua coalizione, non mi piace lui come persona.
Ma non mi fa schifo.
E anche se mi facesse schifo non lo direi, come invece ha fatto ieri il segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto.
Coi tempi che corrono, questo linguaggio va bandito dalla vita pubblica: lo scrivo a rischio di apparire bacchettone, ripetitivo o, ancor peggio, forzitalioto. Dire di un leader politico che fa schifo equivale a giudicarlo come persona abietta, ignobile, che merita biasimo e riprovazione. Vuol dire additarlo ed esporlo a giudizi che nulla hanno di politico e di civile. Viviamo in un paese dove la violenza non fa fatica a trovare giustificazione in una qualsiasi parola. Se, come dicono, Diliberto è uomo molto colto allora dovrebbe licenziare la sua controfigura.

Il momento perfetto (preso alla larga)

Volevo scrivere un post sul “momento perfetto”, ma mi sono reso conto che non sarebbe troppo originale. E soprattutto, con la mia vena poetica da Lancio Story, sfiorerebbe il ridicolo. Nessuno però mi vieta di scrivere sul perché volevo scrivere di qualcosa che non scriverò.
Da qualche anno mi sembra che il mondo (almeno quello che sento e di cui sento parlare) sia tremendamente cambiato. Anche questo, lo so, non è un argomento troppo originale, ma me ne frego e vado avanti. Dicevo, il mondo… Ci stiamo abituando ai cambiamenti repentini. Il clima, le guerre, il welfare, i sentimenti. C’è un filo unico che lega tutto: il mutare (che è divenire).
Una volta davanti a una catastrofe, come davanti a un disagio, ci si imbambolava, ci si interrogava. E per assorbire le risposte ci volevano tempo e testardaggine.
Ricordate l’Austherity? Città in festa, biciclette, partite di calcio in strada. Ce lo ricordiamo, appunto.
Ricordate invece la più recente “domenica a piedi” per lo smog? Secondo me, no.
Si è incrinato il rapporto causa-effetto. C’è solo l’effetto, talmente amplificato da sommergere la causa. Nella febbrile necessità di correre ai ripari si sottovaluta il più pericoloso dei danni collaterali: quello di perdere la ragione. La lotta al terrorismo trae linfa dal nuovo terrore. La politica di risanamento statale ha un suo fondamento nel persistere di una fascia di povertà. Il surriscaldamento del pianeta non intacca il consumo di petrolio. L’odio e il male si rincorrono e generano mostri metropolitani sempre più cattivi. Anche nella nostra terminologia: non si cercano soluzioni, si combatte contro o per qualcosa. Insomma non c’è più tempo per inseguire un leggerissimo, ingenuo, umanissimo “momento perfetto”. Nè, come dimostrano queste righe, per parlarne.

La faccia come il…

Un nuovo caso scuote la comunità guardona che trae linfa da YouTube. Una professoressa di Lecce o giù di lì si sarebbe fatta tastare il deretano da alcuni alunni mentre era seduta in cattedra. Cerco di essere cauto perché ormai non credo più nemmeno a ciò che vedo: nella fattispecie un filmato di un minuto abbondante girato con un telefonino. A parte i volti primitivamente eccitati dei ragazzotti, che mostrano erezioni persino nei brufoli, colpisce il fare annoiato con cui, ogni tanto, l’insegnante scaccia le mani impacciate, come se si trattasse di mosche. La signora in questione, presto identificata e stretta nella morsa del cannibalismo dell’informazione guarda-e-godi, ha trovato una originalissima versione dei fatti dicendosi vittima degli studenti. Se la tastata di culo è realmente accaduta, la professoressa dovrà convincersi a cambiare scusa. Perché qualcuno, guardandola, potrebbe avere la tentazione di inguainarle la faccia in un paio di mutande.

Uno sputo per le Br

Gli arresti dei nuovi presunti adepti delle Brigate Rosse mi inducono alcune modeste riflessioni. Ribadisco il “modeste”, perché il punto di vista medio, quello dell’uomo della strada viene spesso travolto dai pareri degli esperti di turno o dalle elefantiache analisi degli analisti chiamati ad analizzare analiticamente.
a) Le Br sono odiose perché uccidono.
b) Le Br sono ancora più odiose quando ricompaiono nonostante gli annunci della loro estinzione.
c) Le Br sono un nemico collettivo e devono suscitare una reazione collettiva.
d) Le Br non hanno un piano del quale si intuisca una logica terrena.
e) Le Br scelgono i loro obiettivi con un disegno che solo i panzuti soloni giudicano organico.
f) Le Br sono un sodalizio criminale composto da criminali senza una virgola di coraggio.
g) Alle Br non si parla, si sputa in faccia: dovrebbe essere studiata in tal senso una pena accessoria.

Un bel posto

Torno da Barcellona. Un posto dove vi consiglio di andare. Un posto dove la gente ti ascolta anche se non parli la sua stessa lingua. Un posto dove si fa baldoria per strada, ma dove le strade sono sempre pulite. Un posto dove l’euro non affama chi non evade il fisco. Un posto dove la sinistra sta a sinistra e la destra no. Un posto dove i libri sono un argomento di discussione e dove le librerie sono affollate come discoteche. Un posto dove ognuno sta al suo posto perché, nel bene o nel male, se lo è meritato. Un posto dove si pranza e si cena tardi e dove arrivare in anticipo significa passare più tempo in compagnia (magari di estranei). Un bel posto insomma. Ve lo dice uno che vive nella città più cool d’Italia.