Natale di chi?

Dobbiamo farcene una ragione. Tra pochi giorni è Natale. La discussione potrebbe essere oziosa come l’estinzione delle mezze stagioni, la beatificazione dei giovani di una volta, ridateci la Dc, Baudo è sempre Baudo, il freddo secco non fa male quello umido sì. Ma stavolta c’è una variabile che, partita in sordina già da qualche anno, sta facendo sentire gli effetti con allarmante (per me) costanza. Il timore-rispetto per l’Islam.
Assumendo come punto fermo il convincimento che le religioni hanno il diritto di illuminare e, perché no?, condizionare i propri fedeli, non capisco perché debbano fare corto circuito ciascuna con le altre su questioni di risibile importanza. Leggiamo che a Londra si prospetta un Natale senza luci “per rispetto dell’Islam”, o che il presepe non tira più per reconditi motivi (religiosi?), o ancora che in molte scuole del Nord si rinuncia a muschio e pastorelli per non offendere la sensibilità degli alunni di altre religioni.
Personalmente sono convinto che siano ben altri i simboli, e soprattutto i comportamenti, che ledono la sensibilità degli islamici come dei seguaci di altre religioni. L’essere considerati diversi e difendibili innanzitutto. Una religione non è un handicap fisico, non necessita di traduzioni, non deve essere necessariamente universale. E’ l’ambito più personale che ci rimane. Se io prego guardando il mio pollice destro e chiamo il mio dio con un nome che può essere Gesù, Allah o Bahá’u’lláh, non devo essere tutelato da qualcuno, ma semplicemente rispettato. E se nel corso di una preghiera itinerante – può succedere di parlare col proprio dio mentre si è in giro, non c’è mica un orario di ricevimento – passo davanti al simbolo di un’altra religione, magari mi viene un’ispirazione in più.
Sogno un mondo in cui si preghi ognuno come cavolo vuole, con le parole che vengono, senza nulla da imparare a memoria e dove il catechismo sia come il raccordo anulare di Roma: incasinato sì, ma con molte vie d’uscita.

La caduta

La morte di Pinochet, seppure annunciata con lo stillicidio di bollettini medici e dichiarazioni di congiunti, sta innescando disordini e tensioni a Santiago. Non sono un esperto di politica estera, ma per riconoscere un dittatore non ci vuole una laurea. Basta seguire ciò che viene trasmesso dalle antenne del mondo, che non sono i tralicci e le parabole di una telecile o un canales cinques, ma i romanzi e le idee degli artisti.

Mi fido dell’odio per Pinochet instillatomi da Luis Sepulveda (leggete questo articolo se vi va) e vado a rileggermi un singolare libretto di Pedro Lemebel, intellettuale dissacrante, attivista del movimento gay cileno, icona di un linguaggio barocco eppure modernissimo e tagliente. Si chiama “Ho paura torero” e ve lo consiglio se volete imparare a odiare qualcuno che se lo merita. Con stile e civiltà.

Per cominciare

Ora per favore non mi chiedete “perché un blog?”. E’ già complicato trovare la giusta dose di solennità per celebrare un evento del genere senza cadere nel ridicolo: tutto vorrei affrontare fuorché la domanda di cui sopra.
Benvenuti nella mia stanzetta virtuale. Più avanti vi mostrerò quella vera dalla quale vi scrivo (bel panorama e buona compagnia di animali, non tutti domestici). Qui si parla di tutto, il menù della casa è vasto: scrittura, lettura, musica, sport (senza chiedermi tecnicismi), cronaca, tecnologia, politica, vita vissuta e occasioni sprecate. Per sapere chi sono basta leggere la biografia breve, l’altra è tratta da Wikipedia.
Vi lascio con un pensiero che mi frulla in testa. Oggi Prodi è stato contestato al Motorshow da un manipolo di destristi all’esplicito grido di “buffone, abbasso le tasse”. Molto da ridire sull’offesa, nulla sul resto: c’è bisogno di una pattuglia di scalmanati e di un consesso di alto livello culturale come quello del Motorshow per ribadire che le tasse non piacciono a nessuno? Prodi compreso.