Prendo spunto da un articolo di Francesco Merlo su la Repubblica di oggi per parlare di libri. Anzi di librerie. Come il giornalista fa notare, nelle librerie i volumi migliori non si trovano più e non resta che cercarli su internet.
Per la mia esperienza posso dire che la situazione è molto più grave di quella raccontata da Merlo. Se si escludono i megastore, i giganti del settore che trattano solo merce collaudata, glamour, pubblicizzata, impilata in solidi catafalchi cartonati che riproducono l’autore di grido a grandezza naturale, restano i librai quelli veri. La differenza è la stessa che passa tra un hard discount e una salumeria. Una cosa è comprare il prosciutto già imbustato, un’altra è assaggiarlo, sceglierlo, vederlo affettare.
Solo che ormai anche le librerie per così dire normali hanno perso genuinità.
Vetrine monotematiche, tutto lo spazio alle novità, qualche titolo immortale sugli scaffali, il resto via. I libri sono memoria e non scadono come le mozzarelle. Ci si dimentica che il tempo dà valore ai volumi che meritano di essere letti. E non c’è legge di mercato che giustifichi il macero di un’opera: fin quando ci sarà anche un solo lettore che cerca, quel titolo avrà diritto di rimanere in vita. L’argomento è ovviamente molto complesso. Da un lato i librai hanno problemi di spazio e spesso restituiscono al mittente casse di libri ancora intonse, dall’altro gli editori pubblicano troppo e male. I lettori stanno nel mezzo e acquistano in prevalenza ciò contro cui vanno a sbattere. Ecco perché il catafalco cartonato deve essere solido.