Afa killer e serial killer

La meteorologia è una scienza esatta: mette d’accordo tutti gli appassionati di luoghi comuni. Le discussioni su tempo che fa e su quello che farà sono infatti il terreno più confortevole su cui muoversi per ingannare il tempo in coda alle Poste, in ascensore, dal panettiere, nell’ambulatorio di un ospedale.
Dalle mie parti oggi ci sono più di 40 gradi con un tasso di umidità da annegamento. Si era parlato dell’estate più calda del secolo e sino a oggi i meteorologi se l’erano presa in quel posto. Ma da ieri è cominciata la loro rivincita: bollettini aggiornati al millisecondo, protezione civile in allarme rosso. Uno scenario che conosciamo a memoria, e del quale facciamo finta di stupirci ogni anno in questo periodo, grado più grado meno.
Mi verrebbe da usare il maiuscolo per quello che sto per scrivere, ma mi contengo: in estate, specie in Sicilia, c’è sempre stata l’afa, sempre sempre sempre!
Sui giornali si titola da tempo immemore: “Afa killer”; “Il caldo fa strage di anziani”; “E’ scoppiata l’estate”; e via ticchettando.
Un’ultima cosa, andate a leggervi gli immancabili consigli degli esperti. Vi spiazzeranno con rivelazioni del tipo: anziani e bambini vanno tenuti all’ombra. O in ghiacciaia se siete dei serial killer.

La miseria e la compassione


Se andate in giro di notte per una città italiana vi accorgerete di non accorgervi più di certi cambiamenti. Io me ne sono accorto l’altra sera.
Devo andare a cenare fuori con un amico. Lungo la strada mi fermo al primo semaforo: due immigrati si dedicano in contemporanea alla mia auto, uno come lavavetri, l’altro affibbiandomi un deodorante da appendere allo specchietto retrovisore. Stessa scena – con variante fazzolettini di carta – per altri cinque incroci. Ho il vetro pulitissimo, faccio io stesso profumo di mela verde eppure sembra che abbia sempre bisogno di qualcosa: gli immigrati sono gentili, io cerco di essere fermamente gentile nel dire no.
Arrivato davanti alla pizzeria, cerco parcheggio. Un ragazzino indigeno mi aggancia al volo e mi indica un posto. “Due euro”, spara appena metto piede a terra. L’amico che mi aspettava mi viene incontro, intuisce il genere di reazione che sto per avere e allunga una moneta. “Facciamoci una serata tranquilla”, mi esorta.
Al tavolo, prima del menu, arriva un cingalese che vende rose. Ne posa una sulla tovaglia a quadrettoni e aspetta. Noi continuiamo a parlare, lui resta lì in piedi. “Siamo due uomini, non si vede?”, gli dico dopo un paio di minuti. Se ne va perplesso.
Gli dà il cambio una ragazza cinese che si presenta con una vetrina di minuscoli elettrodomestici appesa al collo. E’ la più discreta. Al nostro diniego, abbozza un inchino e traghetta oltre.
Tra la pizza e il dolce passano altri due giovani immigrati con rose e accendini. Ognuno per conto proprio, uno remissivo e lamentoso, l’altro decisamente più spavaldo. Ci alziamo e paghiamo il conto. Mentre usciamo sta rientrando il cingalese dell’inizio cena: ci scansa con un sorrisino.
Davanti alla macchina troviamo un ragazzino che non è quello di prima. Fa il turno di guardia successivo e vuole la sua parte. “Abbiamo già pagato all’arrivo”, sibilo io. Il mio amico allunga un’altra moneta. “Chiudiamo la serata in modo tranquillo”, mi dice congedandosi.
Il rientro a casa è scandito dalle medesime tappe dell’andata. Semaforo, lavavetri. Semaforo, fazzolettini. Semaforo, lavavetri… Cambiano gli uomini, resta il servizio non richiesto.
La folla di venditori abusivi, parcheggiatori da estorsione (mai immigrati!), questuanti da tavolo, vetrine ambulanti, rose rosse di miseria nera, si espande senza ordine. Nel caos metropolitano perdiamo di vista anche la compassione che un tempo ci suscitavano un accattone, un barbone, una giovane tossica schitarrante. E, quel che è peggio, ci vergogniamo sempre meno quando manifestiamo fastidio.

Il vangelo di Luca

Il nuovo leader del partito degli Unti dal Signore, Luca Cordero di Montezemolo, ha lanciato il suo anatema politico. Il riassunto è questo: il governo ha come mestiere quello di creare problemi alle imprese, l’opposizione non fa un tubo, la ripresa c’è stata solo per merito degli imprenditori, in pensione bisogna andarci dopo morti.
Insomma se il nuovo soggetto politico guidato dal presidente di Confindustria dovrà trovarsi uno slogan, gli suggeriamo il celebre “colpa tua, merito nostro”.
Tra le nubi di incenso e i cori angelici che, come sempre, accompagnano le omelie programmatiche di Montezemolo è filtrato però un ammonimento di gran peso: “Il sindacato difende anche i fannulloni”.
E’ vero. Il leader degli Unti ha centrato un problema notissimo e ignoratissimo. In molte frange del sindacato vigono leggi di ricatto e vengono protette intere cosche di nullafacenti. Ovviamente non si deve generalizzare. Non lo fa Montezemolo, figuriamoci…
E’ però cosa buona e giusta avviare una riflessione su molte associazioni di categoria e sul florido moltiplicarsi dei carrierifici. Fateci caso, che fine hanno fatto gli ex caporioni del vostro sindacato? Se fate una ricerca scoprirete che nella stragrande maggioranza dei casi sono stati promossi in azienda o addirittura hanno avviato attività imprenditoriali in proprio.
Senza generalizzare, secondo il vangelo di Luca.

Emergenze di tendenza

Parlare di ecomafie è difficile come parlare di aria malsana, bestie massacrate, ambienti deturpati, acque oleose, terreni inquinati, cemento invadente. Sono argomenti che non fanno tendenza. Se uno dice mafia, tutti a sbracciarsi da destra a sinistra. Se un altro dice corruzione, tutti a indicare: lui, lui! Se un altro ancora dice pedofilia, tutti addosso a preti e gay.
Se uno dice ecomafie, dice qualcosa che c’è ma che annoia: un nemico invisibile non dà troppe soddisfazioni se è per giunta offuscato da altre novelle emergenze. Invece qualcosa deve essere invertito nel circuito dell’informazione, delle libere coscienze, persino delle chiacchiere da bar. La guerra alle ecomafie ci riguarda tutti: spalatori di nuvole e operai del razionale, ingegneri del cerchiobottismo e fanatici della coerenza. I crimini contro l’ecosistema non sono fantascienza, ma si perpetrano sotto i nostri occhi, adesso: basta guardare fuori dalla finestra.
Alla biblioteca comunale di Palermo, oggi alle 19,30, io, Giacomo Cacciatore e Valentina Gebbia presentiamo Fotofinish, un trittico di racconti pubblicato da Edizioni Ambiente per la collana Verdenero. E’ un libro piccolo e onesto che –nelle nostre intenzioni – coniuga il piacere della narrativa con l’impeto dell’impegno sociale.

Lavori in corso


A causa di ripetuti danni ai file del computer e quelli del mio cervello, sono stato costretto ad abbandonare il Pc per approdare al Mac. Da una quarantina di ore consecutive cerco di domare la mia compulsiva ricerca di un tasto destro del mouse e, al tempo stesso, di capire dove finiscono i documenti che produco. Mai mi sarei aspettato, alla mia età, di trovarmi a parlare nel cuore della notte con uno schermo di venti pollici. Non voglio tediarvi con mille altre manie che mi colgono anche adesso, mentre ticchetto su questa tastiera di magico (e anche un po’ irritante) design. Spero solo di riuscire a imbastire, entro fine estate, un rapporto di buona convivenza con il mio nuovo compagno di lavoro. Spero soprattutto di riuscire a pubblicare questo post.

Erba in tv

Alcune brevi considerazioni sulla fiction dedicata alla strage di Erba, e mandata in onda ieri sera da Matrix. I legali dei due assassini (rei confessi) hanno cercato di impedire l’operazione: e si capisce, è come se Totò Riina dovesse essere contento di un film sulle stragi del ’92. Anche la famiglia Castagna si è detta contraria: anche questo si capisce, non fa bene vedere spalmato il proprio dolore sullo schermo. Persino il sindaco di Erba ha parlato di “informazione spazzatura” in forma preventiva, senza cioè aver visto un tubo dei filmati. Quelli che “per difendere il buon nome della città” devono imbracciare il mitra delle minchiate mi destano una certa irritazione. Più opportuno sarebbe stato guardare prima la fiction e poi ragionarci su per difendere la buona creanza innanzitutto.
Non mi ha impressionato la puntata, ho anticorpi Cogne-Vespa che mi corazzano. C’è altro che mi scandalizza in tv. Ricordo un famoso chirurgo che spostò l’intervento sui due gemelli siamesi in prima serata, per farsi accarezzare dalle luci della diretta: parlò prima, operò, parlò dopo, i bambini non ce la fecero, parlò ancora. Non credo che Mentana, ieri sera, volesse indagare le cause del male assoluto. Penso che, semplicemente, abbia voluto fare il giornalista televisivo, raccontando un fatto dal punto di vista migliore possibile. Mostrando, ricostruendo, commentando e fregandosene delle benedizioni/maledizioni.

Il Gay Pride è contro i gay

Il Gay Pride è un evento utile? Conviene cioè a qualcuno? Sostenta un causa? Se l’intento degli organizzatori è quello di portare alla luce un fenomeno da analizzare, certamente sì. Se invece si tratta di una mera provocazione, travestita (è il caso di dire) da voglia di stupire, certamente no.
L’importante questione dei diritti degli omosessuali vive, in questi ultimi anni, di ampie ribalte. Il dibattito politico è fitto, gli spunti di cronaca non mancano.
C’è, in un’ampia fascia di moderati, la sensazione che questo genere di manifestazioni siano tristemente desuete. Un po’ come pretendere di rifare oggi i festival del pop coi nudisti, le canne e altro al vento. Per fortuna i tempi cambiano e ci si adegua anche con le proteste. Il che non significa fare incetta di sedativi: Pannella faceva lo sciopero della fame, poi si è cimentato anche in quello della sete; probabilmente dovrà inventarsi presto qualcos’altro, penso a uno sciopero dei bisogni fisiologici.
Il Gay Pride è vecchio, stantio. E si è trasformato in un triste rito, quello che cerca di lavare vecchie frustrazioni con l’acqua che non bagna. C’è una riflessione in atto, nel Paese, sulle coppie di fatto e su diritti stratosferici come quelli della genitorialità. Perché intorbidire le acque con le sfilate di bancari sadomaso, di segretarie dalla lingua prensile, di uomini travestiti da brutte donne e di donne che sembrano brutti ceffi? Amici gay, rifletteteci, queste manifestazioni fanno di voi caricature, pupazzi su carri allegorici di cui sghignazzare. Gli omosessuali che conosco, e di cui mi fido, non vivono per un giorno da checche liberate. Vivono, più semplicemente, per una vita in cui non li si guardi come diversi. Il Gay Pride rende ridicoli e irraggiungibili.

Giallo splendente

Reduce da una conferenza sul romanzo giallo (insieme con Giacomo Cacciatore, Valentina Gebbia, Salvo Toscano, Ignazio Rasi e Raffaella Catalano), vi sottopongo le seguenti riflessioni.
1) La letteratura di genere è viva e vegeta nonostante i funerali anticipati di alcuni iettatori.
2) Il pubblico c’è e mostra interesse, nonostante le tentazioni omologatrici della tv dei format.
3) Molti librai sanno poco e nulla di ciò che vendono e si occupano più del registratore di cassa che di cosa hanno sugli scaffali.
4) Il “romanzo sociale” vive solo nelle intenzioni degli scopritori di nuovi mondi, agli scrittori normali basta il mondo che c’è.
5) Il giallo è un meccanismo universale per raccontare storie interessanti: che vi sia il morto o meno, non conta.
6) I lettori non sono fessi e se qualcuno tenta di prenderli per fessi si vendicano fregandosene se sei uno sconosciuto o un bestsellerista.

Scusatemi per i sei comandamenti, ma in fondo questo è anche il blog di uno scrittore.

La bomba gay

Becco negli archivi del Tgcom una notizia riempipista, come alcuni brani da discoteca. Una notizia, cioè, di immensa popolarità e di peso specifico prossimo allo zero. La dico d’un fiato tra una risata e l’altra: neglianniNovantailPentagonostudiòunabombagay. Non è una novità, se ne parlo già qualche anno addietro. Però adesso c’è la conferma del governo Usa.
C’era un progetto per far diventare omosessuali i nemici in guerra, il tutto con una mistura chimica. Mi chiedo: era un gas da diffondere coi missili? Una pomata da spacciare come antiemorroidario? Una polvere da sciogliere negli acquedotti? Una fiala da iniettare grazie a fucili di precisione?
L’aspetto più grottesco, e meno divertente, della notizia sta nella strategia: grazie alla bomba gay i soldati della parte avversa sarebbero diventati meno aggressivi perché attratti dai commilitoni.
A parte l’inverosimiglianza dell’argomentazione. Con che criterio si può stabilire che un gay (anche se improvvisato) cede alle tentazioni sessuali e non fa il suo dovere di soldato? Se un milite al fronte si scopre omosessuale, chi può credere che appenda il fucile al chiodo per inseguire un pisello 24 ore su 24? Mi sembra che la logica di questa presunta strategia alberghi nel fetido pregiudizio secondo il quale il “diverso” è inferiore. Quindi, molti “diversi”, molti sconfitti.
Se fossi gay andrei da questi scienziati e gli farei un culo così.

L’Italia degli invisibili (al fisco)

Da pagatore di tasse professionista quale sono mi desta indignazione la notizia dell’analisi fatta dall’Agenzia delle entrate sull’evasione fiscale in Italia. La cifra oltrepassa i 270 miliardi di euro all’anno e corrisponde a circa un quinto del Pil. Secondo un’elaborazione economica, a causa dei malfattori che nascondono il malloppo, il peso fiscale sugli onesti oltrepassa il cinquanta per cento. Perché devono pagare per quelli che non pagano. Obbediente alla logica da Bar dello Sport – quella a me più congeniale – non posso che provare ribrezzo per chi evade il fisco costringendomi a svenarmi per lui. Nella selva del si sa ma non si dice svettano le categorie dei liberi professionisti, degli imprenditori, dei commercianti ma anche dei falsi disoccupati, che gestiscono i propri affari con la stessa disinvoltura di un rapinatore di banche. Il concetto che dovrebbe passare al di sopra di ogni schieramento è infatti questo: chi evade ruba. Un altro concetto basilare mi sembra il seguente: chi evade non è necessariamente una persona importante. Grazie a una certa classe politica ci siamo infatti assuefatti all’idea che l’identikit del perfetto evasore sia quello di una persona di ceto alto, di buon talento (anche criminale), con un discreto numero di impiegati sottopagati, un paio di conti in Svizzera e almeno una villa in un’isola dei Caraibi. In realtà il sottobosco della truffa, almeno nella realtà che mi circonda, comprende lavoratori stagionali, disoccupati ufficiali, gente che non vuole un lavoro in regola, occupanti abusivi di case non proprie, tuttofare da strada. La miseria, quella vera, si annida nelle famiglie degli impiegati: due figli e una moglie da sfamare, muto o affitto, bollette, uno stipendio da poche centinaia di euro al mese. Senza parlare dei pensionati.

Il tema non è di moda né appassiona, lo so. Perché i soggetti in questione non hanno mezzi per potersi fare sentire e i loro voti contano poco. E’ l’Italia degli invisibili, un Paese sommerso. Dai debiti.