Da pagatore di tasse professionista quale sono mi desta indignazione la notizia dell’analisi fatta dall’Agenzia delle entrate sull’evasione fiscale in Italia. La cifra oltrepassa i 270 miliardi di euro all’anno e corrisponde a circa un quinto del Pil. Secondo un’elaborazione economica, a causa dei malfattori che nascondono il malloppo, il peso fiscale sugli onesti oltrepassa il cinquanta per cento. Perché devono pagare per quelli che non pagano. Obbediente alla logica da Bar dello Sport – quella a me più congeniale – non posso che provare ribrezzo per chi evade il fisco costringendomi a svenarmi per lui. Nella selva del si sa ma non si dice svettano le categorie dei liberi professionisti, degli imprenditori, dei commercianti ma anche dei falsi disoccupati, che gestiscono i propri affari con la stessa disinvoltura di un rapinatore di banche. Il concetto che dovrebbe passare al di sopra di ogni schieramento è infatti questo: chi evade ruba. Un altro concetto basilare mi sembra il seguente: chi evade non è necessariamente una persona importante. Grazie a una certa classe politica ci siamo infatti assuefatti all’idea che l’identikit del perfetto evasore sia quello di una persona di ceto alto, di buon talento (anche criminale), con un discreto numero di impiegati sottopagati, un paio di conti in Svizzera e almeno una villa in un’isola dei Caraibi. In realtà il sottobosco della truffa, almeno nella realtà che mi circonda, comprende lavoratori stagionali, disoccupati ufficiali, gente che non vuole un lavoro in regola, occupanti abusivi di case non proprie, tuttofare da strada. La miseria, quella vera, si annida nelle famiglie degli impiegati: due figli e una moglie da sfamare, muto o affitto, bollette, uno stipendio da poche centinaia di euro al mese. Senza parlare dei pensionati.
L’Italia degli invisibili (al fisco)
Il tema non è di moda né appassiona, lo so. Perché i soggetti in questione non hanno mezzi per potersi fare sentire e i loro voti contano poco. E’ l’Italia degli invisibili, un Paese sommerso. Dai debiti.