La coesione e la ragione

La città in cui vivo è stata teatro, nei giorni scorsi, di un Flash Mob cioè di una cosa semplice da fare ma complicata da spiegare.
Il fatto. Un centinaio di ragazzi si sono radunati in piazza e, al segnale stabilito, si sono gettati a terra per qualche secondo scattandosi fotografie. Poi si sono dispersi.
La spiegazione. Questo genere di manifestazione, che ha preso piede in tutto il mondo, non ha scopi politici né sociali e viene inquadrata nell’ambito della cosiddetta libertà d’espressione.
Un paio di riflessioni. Un’azione corale con una discreta forza d’aggregazione non va mai presa sottogamba a patto che abbia almeno un recondito significato. Cosa volevano mandare a dire quei trecento e passa che hanno assaggiato il cemento di piazza Politeama? Ho spulciato in blog e siti specializzati e la risposta che ne ho ricavato è: nulla, a parte “ritrovare uno spirito di coesione”. E a cosa serve la coesione a tempo super-determinato (meno di un minuto)? L’impressione è che nessuno dei partecipanti a un Flash Mob abbia l’intenzione di farsi un’idea precisa. La rapidità d’esecuzione, il reclutamento online, l’esigenza di fotografarsi/filmarsi e l’addio repentino sono, in una singolare sovrapposizione, causa ed effetto del fenomeno. Il Flash Mob cioè nasce e muore mentre lo si celebra, in un lampo. E di quell’attimo non lascia che emozioni senza emozione. Perché la coesione e la ragione non sono soltanto parole che fanno rima.

Come Strega comanda

Il premio Strega a Niccolò Ammaniti per “Come Dio comanda” è un premio alla carriera per uno scrittore ancora giovane. Siamo nell’ambito dei gusti personali e della libera (e spero sensata) critica quindi posso dire che il prestigioso riconoscimento letterario è andato al meno entusiasmante dei romanzi di Ammaniti. Lo avrebbe meritato ampiamente per “Io non ho paura”, ma soprattutto per quel capolavoro che è “Ti prendo e ti porto via”.
“Come Dio comanda” è una storia solida (e ponderosa anche in termini di carta) dove c’è tutta la maestria del narratore. Ci sono personaggi ben scolpiti, ci sono situazioni che si intrecciano senza ingarbugliarsi.
Però, alla fine, prevale troppo la scrittura. E’ come se l’autore – presagendo un esito letterario così felice – a un certo punto abbia scansato le vite che ha raccontato e sia salito lui sul palco di quella notte tempestosa che squarcia il gran finale del libro.
Ma Ammaniti è un grandissimo narratore e gli si può perdonare qualcosa.

Il mattone nello stomaco

Gli agenti immobiliari tranquillizzano: il mercato della casa ha segnato negli ultimi mesi un ulteriore aumento, ma nel prossimo semestre ci sarà il calo. Come dire: ci stanno continuando a spogliare, ma forse le mutande ce le lasciano. Ho spulciato tra i prezzi del bollettino: il top del caro-mattone si registra a Venezia dove un metro quadrato in piazza San Marco tocca i dodicimila euro; i più (s)fortunati possono invece rimediare un appartamento nel quartiere Indipendenza di Catanzaro a meno di duemila euro al metro quadrato.
Non so a voi, ma a me l’argomento prezzi mi fa incazzare e ruminare maledizioni come un vecchio rimbecillito. Il sistema è così congegnato. Tu hai vissuto felice e incosciente sino a una certa età. Un giorno decidi di comprarti una casa e non sei milionario. Se non hai l’indole del rapinatore o dello scassinatore ti iscrivi in quella categoria di disgraziati che devono far ricorso a un prestito. Ti impegni tutto quello che hai e, peggio ancora, quello che avrai. Alla fine, abiterai tra quattro mura che racchiudono i tuoi debiti e che ti frutteranno solo tasse su tasse. E ti renderai conto che il mattone vero non è quello che hai acquistato, ma quello che hai nello stomaco. Per questo dovrebbe essere fatto espresso divieto agli agenti immobiliari di pronunciarsi circa previsioni sull’andamento del mercato. Perché poi qualcuno ci crede e magari elegge Catanzaro città ideale.

Il pianista suonato

Cronache dalla tournee di quel pianista suonato che oggi ricopre, a sua stessa insaputa, il ruolo di leader dell’opposizione.
A chi gli chiedeva conto e ragione di quella parola (“stronzate”) con cui aveva descritto opere e opinioni di Romano Prodi, ha risposto: “E’ il linguaggio dei giovani”. Prima morale: in politica, secondo Berlusconi, ognuno sceglie il linguaggio che più gli piace, dei giovani, dei vecchi, dei punkabbestia, dei letterati in vita fino al 1945, dei pastori sardi, dei pentiti di mafia, degli unti dal Signore. Ognuno ha le sue preferenze…
Il pianista suonato ha anche rivelato di corteggiare con successo alcuni senatori del centrosinistra “che sono sul punto di dire basta a questo governo”. Seconda morale: come ben sappiamo, nel corteggiamento clandestino il Cavaliere sguazza con immenso piacere fino a quando sua moglie non è costretta a intervenire a mezzo stampa. Signora Veronica, dipendiamo da lei.
Infine il sommo musicista senza note ha discusso sulla leadership del centrodestra. “Un uomo si pesa per quello che ha fatto nella vita – ha detto – confrontiamo quello che ho fatto io e quello che hanno fatto gli altri…». Terza morale: ogni uomo vive nell’effetto delle sue azioni. Ma la fedina penale conta?

Nella testa di Corona

Ho visto il video girato di nascosto da Fabrizio Corona mentre firma l’atto di separazione da Nina Moric. E’ una delle idiozie più colossali in cui mi sia imbattuto negli ultimi vent’anni. Se ieri riflettevo sull’inutilità di un’indignazione collettiva nei confronti dello showman Berlusconi, oggi mi ritrovo con un sentimento opposto nei confronti di questo fotografo-traffichino-playboy-aspirante pregiudicato. Qualche giorno fa, questo signore si è pavoneggiato in tv ostentando quanto pensa di guadagnare grazie all’ingiusta fama che la sua disavventura giudiziaria gli ha dato. Per quello che abbiamo conosciuto delle sue capacità imprenditoriali ci sarebbe da tenere gli occhi aperti per pericolo di reiterazione del reato. Corona mostra una protervia pari solo alla sua cultura da GQ: eleganza e muscoli, tendenze e stravizi. Il resto gira su altre rotative.
Se invece di puntare la videocamera su chi gli capita a tiro la puntasse sul proprio cervello potrebbe proporre un documentario da far impallidire Piero Angela: il deserto come nessuno l’ha mai visto.

Il rutto di Silvio

Dobbiamo smetterla di indignarci per le uscite di Silvio Berlusconi. Perché sono talmente eclatanti, in un crescendo di volgarità e assurdità, che devono essere retrocesse d’ufficio al grado di “battute da bar (possibilmente dopo un’indianata)”. Il destino di questo ex pianista imbarcato su navi da crociera (la categoria mi perdoni per la citazione inevitabile) è l’applauso a ogni costo. E purtroppo più passa il tempo, più il consenso della platea diventa difficile da estorcere. Allora il nostro prova coi capitomboli, le pernacchie, le parolacce. Manca solo la recita dell’alfabeto coi rutti: ma ci arriveremo entro Natale, di questo passo.
L’appiglio di cronaca per questo post lo hanno fornito le dichiarazioni sventagliate ieri in faccia agli inermi accoliti della scuola di formazione politica di Formigoni. Tra gli sputacchi per le “stronzate di Prodi” e l’autocompiacimento per “il linguaggio rozzo ma efficace” (ilsuostessomedesimodisé) – tutti pezzi forti della giornata politica – nessuno ha però avuto il coraggio di chiedere il bis. Forse il pubblico era rimasto frastornato dalla più grottesca delle sue battute, sintetizzabile così: “In cinque milioni sono pronti a scendere in piazza per il voto”; “Chi glielo ha detto, presidente?”; “Loro! Li ho fatti chiamare al telefono”.
Il rut-to! Il rut-to!

Gli pseudoscaltri

L’ultima polemica estiva, quella che vede coinvolto Beppe Grillo definito “ecofurbetto”, fa sorridere per la sua pregnanza di inconsistenza. Al comico genovese, autore di molte battaglie contro l’inquinamento, viene rimproverato di aver fatto un giro su un potente motoscafo dotato, come tutte le barche a motore, di un motore appunto. E i motori sporcano.
La pulsione da cui originano queste critiche è una costante psicologica che alberga nelle menti degli pseudoscaltri. A questa categoria appartengono quelle persone che cercano di farvi cadere con argomentazioni da sorrisetto velenoso quando non ne trovano di congrue o, al limite, divertenti.
Alcuni esempi. Se avete una vena ambientalista vi chiedono a squarciagola di che materiale sono le vostre scarpe. Se lavorate troppo non mancano di domandarvi se guadagnate troppo. Se siete soli si affrettano a rimarcare coram populo l’assenza di un vostro ex partner. Se siete in compagnia, con la medesima enfasi, rievocano le presunte gesta di quando eravate solo.
Gli pseudoscaltri vivono della pseudomancanza altrui. Se non la trovano se la inventano.

La scuola di Carmen Villani

Il ragazzino che ha offeso gratuitamente il compagno di scuola chiamandolo gay può essere definito deficiente. E l’insegnante che ha osato fargli scrivere cento volte “sono un deficiente” non è una criminale, ma una che fa onestamente il suo mestiere, utilizzando un mezzo pedagogico assolutamente lecito. Lo dice il Tribunale di Palermo che ha assolto la professoressa per la quale un pm aveva chiesto una pena di due mesi.
In questa storia ci sono tutti gli elementi per riflettere sulla scuola, sul rapporto genitori-figli, sulla cosiddetta morale comune e chissà su cos’altro. C’è innanzitutto quell’offesa, gay, frutto dell’intolleranza più bieca, quella che viene dall’ignoranza. Ci sono i genitori del ragazzo che hanno pensato bene di attaccare l’insegnante anziché prendere a sberle il figliolo. C’è una scuola che è sempre più tomba e meno culla di idee. C’è un sistema giudiziario allo sfascio che si prende la briga di dedicare uomini e tempo a menate inverosimili.
Troppi elementi su cui riflettere.
Per tirarmi su forse mi rivedo “La supplente va in città” con Carmen Villani.

Sodomia e pensionati

Sulle pensioni si sta consumando una tipica commedia in stile politichese. Tra annunci (“Abbiamo trovato i soldi!”), auspici (“Siamo in vista dell’accordo!”), sorprese (“Dove minchia è finito l’accordo?”) e sentimento (Prodi, cuore e fiducia) tutto finisce dove inizia. Bisogna cercare di stangare i pensionati e ancor peggio i “pensionandi”, perché si è scoperto che sono loro la vera cassaforte del Paese.
Ho già vent’anni di contribuzione e sento una strana pressione da dietro. Ho la certezza che aumenterà col tempo, così come diminuirà il contenuto del mio salvadanaio.
Perché c’è la necessità politica (quindi non certo collettiva) di sodomizzare economicamente gli anziani che non siano ex parlamentari, ex burocrati, ex politici in genere, ex imprenditori sopravvissuti a Tangentopoli? Perché non si comincia a risparmiare a Montecitorio? Perché non si conduce la lotta all’evasione con le armi pesanti?
Spero che gli sceneggiatori di questa commedia di quart’ordine introducano almeno una risposta nei loro intrecci banditeschi.

La laicità del portafoglio

Ce ne siamo accorti solo perché l’Unione europea, in un sussulto di vitalità, si è incazzata e si prepara a mettere sotto processo l’Italia per i vantaggi fiscali concessi alla Chiesa cattolica, contrari alle norme comunitarie sulla concorrenza. L’oggetto del contendere è l’esenzione del pagamento dell’Ici per le attività commerciali della Chiesa. E’ una storia che riassumo così: in pratica basta che ci sia una cappella votiva nei paraggi di un’attività commerciale e l’Ici non si paga più. “In questo modo –spiega Curzio Maltese su La Repubblica – la Chiesa cattolica versa soltanto il 5 o 10 per cento del dovuto allo Stato italiano con una perdita per l’erario di almeno 400 milioni di euro ogni anno, senza contare gli arretrati”.
Il provvedimento, così com’è adesso, è figlio di un impasto nel quale hanno messo mano tutti, da destra a sinistra. Persino i famigerati rossi, quelli che in teoria avrebbero dovuto far paura al Vaticano. Il tema della laicità dello Stato si propone con continui aggiornamenti, alcuni dei quali noiosissimi. Dalla Santa Sede arrivano indicazioni su ogni aspetto della nostra vita: con chi sposarci, che film vedere, chi votare, dove andare in vacanza.
Mi piacerebbe che, un giorno, si arrivasse a stabilire almeno il principio della laicità delle mie tasche.