L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.
La mafia vista da vicino. Da vicinissimo. Dalla finestra di casa, dal posto di lavoro, dal finestrino dell’auto, dal tavolino del bar. Vista da giovani cronisti, immuni alle cialtronerie del circo mediatico che talvolta ammanta queste vicende. La mafia raccontata senza fronzoli, senza i protagonismi che tendono a dare al narratore l’inconfessabile gloria riflessa del narrato. “L’isola di Matteo” è un podcast di Matteo Caccia e Luca Micheli – disponibile sulla piattaforma Audible – che dovrebbe raccontare i misteri e i paradossi che circondano il superlatitante Matteo Messina Denaro. Invece è molto di più: è il nodo di mille fili, è la chiave di molti cassetti, è uno squarcio di luce nel buio di troppe cose non dette. E Matteo Messina Denaro è un pretesto per parlarne.
Il primo motore immobile (immobile manco troppo) di questa narrazione è Giacomo Di Girolamo, direttore del portale Tp24, scrittore marsalese e lucido esploratore della giungla mafiosa. Il podcast è la fotografia sonora della sua storia, del suo metodo giornalistico. Un metodo antico eppure, specie di questi tempi, rivoluzionario. Niente veline giudiziarie, né manine che allungano dritte interessate, solo lavoro di fino e tacchi consumati. Accade così che Di Girolamo arrivi prima degli inquirenti sulle storie calde o che, peggio, ci arrivi soltanto lui. Come? Spulciando tra bandi pubblici, piani di finanziamento, visure camerali, atti che pochi si degnano di leggere: pratiche scritte proprio per non essere lette, o per celare fraintendimenti cruciali. Di Girolamo cerca, consulta, verifica, pubblica: è una minaccia vivente per il sistema politico e affaristico che campa sul binomio distrazione-connivenza.
Qualche anno fa l’ex sindaca di Marsala Giulia Adamo lo citò in giudizio perché riteneva che le sue inchieste danneggiassero l’immagine della città: gli chiese 50 mila euro perché aveva la certezza che i suoi articoli che parlavano di mafia, omicidi, corruzione in qualche modo impedivano il riscatto di Marsala. Le querele sono per Di Girolamo una sorta di medaglia, ma come le medaglie possono pungere quando te le appuntano al petto. E nel podcast fa capolino anche il suo avvocato, Valerio Vartolo, che si mostra per quello che è: una via di mezzo tra un esperto del diritto e un fraterno angelo custode. La squadra di Tp24 è tutta un divertente ibrido di giornalismo e impegno civile: c’è Ciccio Appari, classe 1987, che fiuta le inchieste, c’è Carlo Rallo, che rappresenta la memoria storica, c’è Rossana Titone che segue con leggiadra intransigenza la complicata politica locale, e c’è Egidio Morici che vive e scrive a Castelvetrano, città natale di Messina Denaro, e che è un riferimento fondamentale per una redazione che ha sempre all’ordine del giorno le notizie e i sussurri sulla latitanza del boss.
“L’isola di Matteo” è narrativamente parlando un esperimento ardito che consiste nel raccontare una caccia disarmata a una preda pericolosissima, nello scardinare il linguaggio ad effetto dei soloni dell’antimafia, nel raccontare la straordinaria ordinarietà di una provincia siciliana. Si ride in tutte le tonalità: dal black humor di Di Girolamo, che è uno che darebbe un rene per trovare la battuta perfetta, al giallo di una storia che parte da alcuni cani rubati e arriva a un inusitato colpo di scena, dalla latitanza del superboss spiegata coi i Tupperware al pranzo a casa della mamma del protagonista testimoniato quasi in presa diretta, “milincianata” inclusa.
Più volte si invoca una analogia con Peppino Impastato, perché anche qui c’è una radio di mezzo (RMC 101) sulla quale ogni giorno gira il radar del “Volatore”, per definizione “l’aeroplanino dell’informazione” sul Trapanese, ma molto più prosaicamente il programma dal quale Di Girolamo manifesta l’esistenza in vita di un giornalismo d’inchiesta che non è d’inchiesta, ma giornalismo e basta. E Impastato c’entra poco, per esplicita ammissione dei protagonisti, giacché lui viveva in un contesto e in un’epoca infinitamente più complicati: e certe similitudini dicono più dell’oziosità dei nostri ragionamenti che della cronaca che vorremmo fissare in poche battute.
La storia della caccia a Matteo Messina Denaro resta sullo sfondo, per due motivi. Primo, perché i latitanti li cercano le forze dell’ordine e non i cronisti di provincia a meno che non ci siamo persi qualche passaggio in quest’Italia distratta e smemorata. Secondo, perché se c’è davvero qualcuno da celebrare in un podcast, che è strumento moderno e di gran moda adesso, è piacevole pensare che sia un gruppo di lavoro senza riflettori, con mezzi al limite dell’artigianale, con un’arte antica del raccontare che pochi, soprattutto tra i giovani, conoscono.
Fatevi un giro da quelle parti dove il portinaio diventa un vostro nemico solo perché, essendovi stata recapitata l’ennesima busta con minacce e polvere da sparo, la polizia lo ha convocato per interrogarlo. Dove gli appalti, anche i più insignificanti, possono decidere le sorti della più grande organizzazione criminale del mondo che ha il bilancio di un piccolo stato. Dove nel corso dei decenni il brand dell’antimafia è stato gestito da un trust di cervelli che coinvolge amministratori, magistrati, giornalisti e professionisti di ogni strato sociale.
Ecco, fatevi un giro e non chiedetevi nulla sul coraggio di scrivere in quelle lande. Sarebbe riduttivo. Per Di Girolamo e compagni il vero coraggio non è solo raccontare cose di cui nessuno scrive in quei luoghi, ma sorriderne. E scriverne con spietata ironia.