Nell’infinita fallacità delle nostre cronache dall’isolamento, fatte di gesti qualunque che d’improvviso scopriamo preziosi, di moderne ricette alle quali ci aggrappiamo come fossero scialuppe, ci sono segni che ritroviamo come orme nella sabbia. Ed è sempre la memoria a venirci in soccorso giacché persino il presente più imprevisto è figlio di un passato ben noto.
Apri e chiudi: i confini, il rubinetto della diffidenza, quello della speranza. Ci siamo sommersi nella merda di chi predicava frontiere chiuse, diffidenza nei confronti dello straniero, autonomia economica, monopolio della civiltà. Ci siamo ridotti a chiedere aiuto a chi avevamo sputato istituzionalmente in faccia, a elemosinare una mascherina a quelli che prendevamo per il culo, a chiedere aiuto in casa nostra a quelli che – noi, bugiardi patentati – ci ostinavamo a voler aiutare a casa loro.
È la nemesi di un potere perduto, di una generazione di incolti. È la degna sepoltura di una indegna classe di italiani che ha confuso l’ignoranza con l’innocenza, premiando l’incompetenza e additando il valore acclarato come un privilegio da abbattere. Ne parlavamo l’altra volta, basti pensare ai no-vax che in questa crisi mondiale dovranno faticare per trovare un’uscita di sicurezza che li salvi dal linciaggio morale: anni e anni di cazzate letali di cui dovrebbero essere chiamati a rispondere davanti alla giustizia. Ma non va dimenticata un’intera classe politica di negazionisti, di supponenti della ragione, perché quando un ministro e/o un sottosegretario (cioè persone che stanno ai vertici assoluti della catena di comando) insinuano il sospetto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna dovrebbe scattare l’obbligo di camicia di forza: chi regge le sorti di un Paese non può disorientare, gettare sabbia negli occhi della popolazione quando si occupa lo scranno più alto è qualcosa di simile all’alto tradimento.
Apri e chiudi. Alla fine abbiamo capito con una morale feroce che il grande nemico non veniva dal mare con i barconi dei disperati, ma da un jet con volo intercontinentale e parlava italiano, anzi lombardo. Se davvero c’era qualcosa da chiudere, era la bocca della “rana dalla bocca larga”. Se c’era qualcosa da aprire era la nostra mente, e che cazzo.
Nell’infinita fallacità delle nostre cronache dall’isolamento c’è poco da raccontare, a parte cibo, adipe, serie tv, intrattenimenti vari, multichat e nuovi onanismi. C’è però molto su cui riflettere sugli errori che non dovremo mai più commettere, sulle persone di cui non dovremo mai più fidarci, sulle scorciatoie che mai più prenderemo.
Impariamo a essere intolleranti.
Il “sì però” ci ha portati a questo punto.
Ora proviamo a praticare il “mai e poi mai”.