Da Avilés a El Pito.
Da Avilés a El Pito è tutto un estenuante saliscendi di colline verdi, l’unico vantaggio è che finalmente torna il silenzio dopo le tappe cittadine di Gijón e Avilés. E il silenzio durante il Cammino è tipo il “latte +” di “Arancia Meccanica”, una droga dolce e pericolosa, depurata dalla componente di istigazione alla violenza.
Provo a spiegare.
Il silenzio è qualcosa a cui non siamo abituati, nel senso che lo conosciamo ma non lo sappiamo usare. Dormiamo nel silenzio, studiamo o ci concentriamo per fare qualcosa nel silenzio quando lo troviamo, ma non ci capita di vivere il silenzio. Il motivo per cui ho scelto di fare il Cammino del Nord da solo (tranne alcune piacevoli e occasionali condivisioni di passi ed esperienze) è proprio questo: io che sono un chiacchierone, un bordellaro di prima specie, volevo sperimentare il “latte +” della relazione con se stessi. Così mi sono imbarcato in questi trentatré giorni di dimostrazione pratica del fatto che nascere solisti non significa vivere da solitari e magari morire soli (anche se sull’atto finale eviterei ogni forma di facile entusiasmo).
Il fattore X che inocula nelle vene di questa mia modestissima sperimentazione il virus dell’imprevedibilità è legato alla natura degli spagnoli, che quando si mettono di impegno riescono a essere più rumorosi e fastidiosi degli italiani. Ad esempio, ora sto scrivendo nell’unico bar- ristorante di El Pito (il groove sta a Cudillero, nella foto, due chilometri e mezzo più avanti e soprattutto 150 metri di dislivello sotto) e sono circondato da maschi ubriachi e donne che giocano a carte, accomunati da una livella sensoriale: non parlano, urlano.
Eppure il silenzio accumulato fa il suo lavoro poiché ti ha messo dentro tanti di quei semi che non ci sarà tempesta di rumore in grado di impedirgli di germogliare. Faccio un discorso serio, una volta tanto in questi diari di cazzeggio. La fatica, la solidità delle intenzioni, il miraggio dell’obiettivo, una volta sul Cammino, ti spiegano che non c’è nulla di eroico a fare tutti questi chilometri a piedi con lo zaino in spalla e la tua vita sul groppone. C’è solo qualcosa di grande, di infinitamente grande solo per te stesso.
Perché ti fai un dono unico – e quando ti ricapita un’occasione simile. Tu che vivi di link all’emozione di massa, ti ritrovi in uno stato di grazia che non è ascetismo ma, al contrario, comunione: con quel te stesso che magari non frequentavi da secoli, con una compagnia improvvisata, con un pensiero che non è solo tuo, con una prospettiva che ti faceva paura o peggio schifo.
Ogni giorno i miei amici mi scrivono per sapere come sto, dove sono arrivato e per verificare il mio stato vigile. Oggi mi hanno scritto: “Cominciamo a preoccuparci. Quando scatta il passaggio tecnico da viaggio a latitanza?”. Ho risposto semplicemente che è bello che qualcuno ti pensi, perché i pensieri ammuttano, cioè spingono.
È questa una grande lezione del Cammino. I pensieri sono benzina ecologica, sono fisica ancor prima di metafisica, sono una forza di propulsione.
(19 – continua)
Le altre puntate le trovate qui.
A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.
Bellissimo diario, vero viaggio, anche per chi è rimasto a casa. Grazie.
Grazie a te perché mi leggi, Gigi caro.