Da Bilbao a Pobeña.
Sono in un postaccio alla periferia di Muskiz, che già Muskiz di suo è un paese arroccato tra raffinerie e asfalto, figuratevi un luogo alla sua periferia. Bevo Estrella Galicia e in un sottofondo che tende all’invadenza c’è una compilation di neomelodici ispanici (che di certo non fanno lezioni di legalità in Spagna, ci metto la mano sul fuoco). Le due ragazze del bar sono gocce di miele in una tana di orsi, non parlano altra lingua che non sia la loro, tipo se dici beer oppure table (the beer is on the table, altro che the book…) loro ti guardano e ridono con una giovinezza alla quale si perdona tutto, pure la presa per il culo.
Sto celebrando la degna conclusione di una giornata da trenta chilometri di asfalto, tra zone industriali e cittadine appena apprezzabili. Questo tratto che mi riconduce all’oceano è forse il più brutto dell’intero Cammino del Nord, ma lo sapevo.
In questo viaggio sto perfezionando una tecnica (per me) molto complessa: sviluppare tolleranza. Sto migliorando, ma non ne sono apertamente orgoglioso. L’opposto che mi riguardava non era l’intolleranza, parola orribile dalle implicazioni indecenti soprattutto alla luce di questi tempi infami, ma qualcosa che ha a che fare con la diffidenza. Sono sempre stato diffidente, nei confronti delle persone, del cibo, della religione. Al limite del negazionismo per fondamentali argomenti tipo le acciughe nella pizza o il midollo nel risotto.
Quindi il gioco è il seguente: data una situazione fisicamente complessa con asperità sociali di vario livello, uno se ne può uscire senza scappare? Oggi la risposta è: si – può – fare (cit)!
Nei postacci in cui sono stato negli ultimi giorni – un paio rimarranno memorabili – sono riuscito a trovare sempre un elemento d’appeal, secondo una vecchia regola di giornalismo. Che dice: critica pure in modo atroce il ristorante, ma occhio ai gabinetti, se sono accettabili scrivi ‘ si mangia di merda, ma i cessi sono ottimi’. In tal modo si evita, anche platealmente, la trappola del pregiudizio. E il pregiudizio te lo metti in sacchetta quando, sono le 21, e hai accanto un giovane che potrebbe essere tuo figlio e fa cena/aperitivo con aranciata e patatine fritte. Aranciata e patatine! Che dalle mie parti gli danno un metadone di nero d’avola e tenerumi.
Per dire, in alcuni di questi piccoli centri baschi si mangia maluccio però, non sai come, c’è sempre un buon gin (da Bombay a salire) col quale concludere una cena al limite del commestibile. Ti danno delle polpette di prosciutto grasse e oleose, ma in compenso fanno insalate sublimi (sanno usare molto bene i peperoni e le cipolle) che da sole valgono il conto. Ti nutrono a panini, ma mantengono uno standard ufficiale di qualità che è quasi una bandiera. Hanno cittadine anche mediocri, ma il wi-fi pubblico è una bomba.
Insomma sfidano quella che tu chiami tolleranza e che il resto del mondo chiama, sottovoce, capriccio. Stasera sfidando tutte le leggi a me note, ho chiesto una pizza margherita con salame piccante. Il loro salame è il chorizo ed è carnazza per me. Ho mangiato con gli occhi chiusi e mi è piaciuto come un peccato mortale amnistiato.
Il Cammino è anche questo.
(8 – continua)
Le altre puntate le trovate qui.
A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.
Un commento su “Pizza vista nulla”