Ho una vera passione per la Seconda guerra mondiale e in particolare per la storia e i luoghi dello sbarco in Normandia di cui oggi si celebra il settantacinquesimo anniversario. Sono stato tre volte a Omaha Beach, a Pointe du Hoc, a Colleville-sur-Mer, dove c’è l’immenso cimitero americano delle vittime dello sbarco.
E per tre volte ho vissuto quei momenti drammatici eppure entusiasmanti in cui le forze canadesi, australiane, belghe, cecoslovacche, francesi, greche, olandesi, neozelandesi, norvegesi e polacche, oltre a quelle britanniche e americane, muovevano le loro pedine sullo scacchiere della storia. Una storia che riavvolgeva il suo filo in quei pochi giorni.
Mi ha affascinato la strategia militare, coi suoi errori ma anche con i suoi leggendari trucchi. Primo tra tutti la creazione da parte degli alleati di un intero esercito finto, per ingannare i tedeschi sul luogo in cui sarebbe avvenuto lo sbarco. Il FUSAG, First United States Army Group, fu affidato a un comandante vero, il generale George Patton, ed era formato da carri armati gonfiabili e aerei di legno, scambiati dai ricognitori tedeschi in volo sui campi militari britannici per veri armamenti. In tutti questi anni mi sono chiesto come si sentisse Patton (un militare di fama) a comandare una truffa di fantocci e mi sono risposto che il coraggio di un uomo sta tutto nel suo senso di responsabilità, anche nell’accettare di combattere con una spada di cartone, se serve.
Ho trascorso interi pomeriggi a Pointe du Hoc, in cima alla falesia che i ranger dovettero scalare sotto le mitragliate per espugnare una roccaforte della difesa tedesca. A mani nude, con chiodi e corde un manipolo di uomini affrontarono dal mare lo strapiombo di trenta metri. E io, da vecchio arrampicatore, non ho capito ancora da dove trassero quella forza. Ma soprattutto dove trovarono la serena ferocia con la quale, una volta giunti in cima, diedero fuoco ai bunker nei quali si erano asserragliati gli ultimi soldati tedeschi.
Insomma quei luoghi sono diventati un po’ anche i miei luoghi. Se non ci siete stati, programmate una vacanza da quelle parti: la storia non la si studia soltanto, la si può anche respirare. E in certi casi dà dipendenza.