La rabbia della netturbina e il concime della civiltà

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Sabato sera, a passeggio con amici nell’isola pedonale di via Maqueda, a Palermo. Alcuni netturbini della Rap fumano e chiacchierano anziché lavorare. Nessun problema, magari saranno in pausa. Uno di loro però prende il pacchetto di sigarette vuoto e lo butta per terra, proprio mentre noi gli stiamo passando davanti. La mia amica Stefania lo interroga: “Ma che ha fatto?”. E quello: “Tanto poi pulisco io”. Intervengo e cerco di spiegare che non funziona proprio così e che intanto lui più che pulire – non l’abbiamo ancora visto al lavoro – sta sporcando. Provo anche a imbastire un discorso sul cattivo esempio, ma una sua collega, una ragazza che avrà vent’anni meno di lui, mi si para davanti chiedendomi conto e ragione delle proteste. “Che volete voi? Che dovete fare lo scoop?”, urla all’improvviso riconoscendo il volto televisivo della mia amica. “Amunì, chiamate la polizia!”, ci sfida.
Mentre il sangue mi gonfia le orecchie, si forma un capannello intorno a noi. L’arroganza ruvida di quella ragazza, per la quale la gioventù è un’aggravante, rischia di farmi perdere la pazienza. Vorrei spiegarle che uno spazzino ha una grande responsabilità nel mantenimento del decoro di una città, che il suo mestiere ha più valore di quello di centinaia di burocrati scaldatori di sedie professionisti, che quella strada oltre a essere il suo ufficio dovrebbe essere il suo orgoglio: la pulizia è un gradino della civiltà. Ma lei se ne strafotte e fuma, fuma una sigaretta dietro l’altra (con le cicche che ovviamente butta per terra) fino a quando, per uno strano allineamento astrale, passa una volante della polizia.
“Minchia, vero la polizia chiamarono”, sussurra la giovane. Valle a spiegare la coincidenza e soprattutto vai a trovare la voglia di spiegargliela…
Finisce con gli agenti che non sanno che pesci pigliare, con la tipa allontanata quasi a forza perché di minuto in minuto si sta scaldando sempre più come se gli avessimo sporcato la strada appena pulita, e finisce con un tappeto di cicche intorno a noi.
Riprendiamo la nostra passeggiata con una consapevolezza: se è vero che la civiltà di un’epoca diventa il concime della successiva, con questa figura di merda la nostra comunità si è portata avanti col lavoro.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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