Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.
Questa non è una favola, ma come una favola ha una sua morale, semplice, netta: per conoscere davvero il male, bisogna averlo combattuto.
Il protagonista della storia, Mauro Maniscalco, 41 anni istruttore subacqueo di Palermo, il fisico da combattente ce l’ha, nonostante un perfido linfoma linfoblastico ad alto grado di malignità abbia tentato di piegarlo e nonostante tre estenuanti cicli di chemioterapia gli abbiano divorato per mesi e mesi tutte le energie.
Oggi Mauro è appena rientrato da Ustica, dove per sei mesi ha solcato il suo mare con Nanù, la barca del diving Alta Marea di cui è proprietario. Ma due anni e mezzo fa era in un letto dell’ospedale Cervello a fissare la bocca del medico che pronunciava la parola che avrebbe cambiato la sua esistenza: leucemia.
Sino a quel momento la vita di Mauro, di sua moglie e dei due bambini, era trascorsa coi ritmi di chi vive inseguendo una sola stagione, l’estate, quando si lavora mattina e sera perché d’inverno il mare ti chiede di lasciarlo in pace.
E invece arriva l’intruso, un male liquido e diffuso che avvelena il corpo, si intrufola in tutti i gangli affettivi e sconquassa i sistemi di sopravvivenza dell’universo di quattro persone.
Leucemia, cioè cancro, cioè tumore. (…)
Mauro Maniscalco adotta subito la linea dell’attacco diretto all’intruso. Lo chiama col suo nome, lo scrive persino sul suo profilo Twitter: “Diver, biker, swimmer, runner… fighting cancer”.
Ha fretta. Spinge per cominciare al più presto il percorso di cura. Quando inizia la chemioterapia non lo sconvolgono i capelli che cadono a ciuffi otturando lo scarico della doccia, il fisico che si gonfia, le ferite che si aprono in bocca, la spossatezza che gli rende pesanti i passi e persino il respirare, i lineamenti che gli danno il volto di uno sconosciuto. No, a lui interessa il tempo perché il cancro gli sta rubando ore, giorni, mesi preziosi per fare tutto quello che prima gli sembrava normale e che adesso è diventato drammaticamente importante.
La stagione estiva è compromessa. Come un contadino al quale è stato bruciato il raccolto, Mauro guarda da lontano quel mare che gli sembra inutilmente bello. Scruta e scalpita, ostenta sicurezza e probabilmente piange di nascosto (nessuno lo sa, nessuno lo ha visto).
“Cerchiamo sempre l’infinito, ma troviamo soltanto le cose”: maledetto Novalis, qui l’infinito è davanti e dentro di me – pensa – sono le cose, le mie cose che non trovo più.
Dai medici è sempre puntuale, coi parenti – quando la chemio glielo consente – è sempre sorridente. Quando qualcuno si mostra troppo preoccupato per lui, sfodera la classica battuta: “E che sono malato?”.
Un giorno un amico gli annuncia di aver girato una somma sul suo conto in banca: gliel’ha regalata un cliente del diving che ha chiesto di rimanere anonimo. Perché il cancro attacca anche le tasche, e questo è uno dei motivi per cui Mauro deve fare in fretta. E’ il paziente più impaziente che ci sia, ammettono i medici.
L’orribile intruso intanto non ha nessuna intenzione di sloggiare e i medici dopo tre feroci cicli di chemioterapia decidono di intervenire radicalmente: trapianto del midollo osseo. Il donatore c’è, suo fratello Giuseppe. Si procede.
Poco prima di iniziare la tremenda escalation di bombardamenti che azzererà il vecchio sistema immunitario per fare largo al nuovo, Mauro si fa scattare una foto che finisce sul web e diventa un inno virale alla vita: sorridente, fa il gesto dell’ombrello, al tumore, alla malasorte, a chi vorrebbe tenerlo lontano dal suo mare.
Il trapianto riesce.
Oggi, due anni e mezzo dopo, Mauro ha ripreso la forma perduta e si concede il lusso di preparare una mezza maratona.
ho conosciuto Mauro in questi anni e ne ho apprezzato la forza di vivere una vita appena riguadagnata che la sorte gli stava rubando via. Non corro oramai da 5 anni dalla mia ultima maratona, ma per stare accanto al mio Amico Mauro sono pronto a rimettermi subito in gioco insieme a lui!!!
Ciao Mauro un abbraccio
Elvio