Avevo una Fender Stratocaster rossa nei primi degli anni Ottanta. Suonava in modo tagliente con un amplificatore Fender, anche se preferivo “riscaldarla” un po’ con le valvole del Marshall. E’ stata la mia prima chitarra importante, regalo dei miei per il diploma di maturità classica. La lucidavo ogni giorno, anche se avevo ceduto alla insana tentazione di attaccarci un adesivo dei Van Halen (non si può dire che fossi un tipo raffinato!), la sera la riponevo nella sua custodia sotto il mio letto. Passavo gran parte del mio tempo libero a sognare di essere degno di lei, come un aspirante amante che ha una donna troppo bella per sentirsene all’altezza. In fondo non la suonavo, la strimpellavo. Ma quando la sera con gli amici ci ritrovavamo nello scantinato che era la nostra sala prove, la imbracciavo mi sentivo un musicista vero. Perché ci sono momenti nella vita in cui l’abito fa un po’ il monaco: basta avere un pizzico di fantasia e molta vita davanti.
Ecco, se dovessi prendere un oggetto della mia giovinezza e dire “questo mi rappresenta, questo ero io”, non citerei la Vespa, né un disco di vinile, il diario Vitt, le Adidas SL72, le krapfen dell’Antico Chiosco, il costume Speedo a striscie (!) o i capelli lunghi (!!!). Prenderei la mia Fender rossa (tutto questo perché mi sono accorto che proprio oggi la Stratocaster fa sessant’anni).
Mitica Stratocaster
L’adesivo non può mancare mai è l’impronta di chi la possiede. I modelli in serie sono tutti uguali: belli e noiosi.