Ieri il Tg1 in prima serata ha dedicato un titolo (con relativo servizione) all’ultimo album di Laura Pausini. Nulla di strano se non si trattasse di un greatest hits, cioè di una raccolta di brani già pubblicati, ascoltati, digeriti.
Di certo la Pausini è una delle colonne della nostra musica d’esportazione. E di certo la ultra promozione di un album che è rimasticatura d’autore, ma sempre rimasticatura è, sa un po’ di beffa in un Paese in cui lo spazio per i nuovi artisti è interamente confinato ai talent. Che sono sempre più simili ai circhi, con partecipanti in gabbia, giudici domatori e tanta, tanta finzione.
E poi i greatest hits che senso hanno, ormai, in un’epoca in cui i brani sono sempre disponibili sui web store, acquistabili singolarmente e per giunta con lo sconto? La raccolta, come la conosciamo noi ex ragazzi degli anni Settanta, aveva senso quando anziché comprare l’intera discografia di un autore che ci piaceva, potevamo scegliere un condensato dei suoi pezzi più celebri senza svenarci economicamente. E, pensate, il Tg1 non ne parlava ancora.