Chi mente sui libri?

"Il libro della giungla", foto di Cinzia Zerbini (da Flickr)
"Il libro della giungla", foto di Cinzia Zerbini (da Flickr)

Ieri al Tg1 delle 13,30 Gian Arturo Ferrari, direttore generale della divisione libri del gruppo Mondadori, ha detto che il settore librario non risente della crisi economica. Il parere è diametralmente opposto a quello di altri operatori del settore, agenti ed editor (peraltro non intervistati dal Tg1), che rimbambiscono gli autori con previsioni catastrofiche.
Ora dal momento che il sottoscritto (come molti protagonisti di questo blog) campa di scrittura, sarebbe utile scoprire chi è che dice bugie.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

151 commenti su “Chi mente sui libri?”

  1. @Roberto: non puoi disertare per qualche malannuccio di stagione. Questa storia richiede le energie di tutti, anche le tue. E’ la letteratura, bellezza. E tu non puoi farci niente.

  2. Calogero Randazzo aveva sempre gli occhi gonfi. Non solo quelli, ma qui non si può dire. Aprì la finestra e il sole gli diede fastidio. Disse “minchia” . Anzi, lo sussurò. Chiuse la finestra e accese la tv. Stavano cucinando le seppie con i funghi. Erano le 10 e tutto sembrava uguale al giorno prima. Anzi no. Il giorno prima cucinavano i polipi murati. Voleva alzarsi ma gli girava la testa. Ora chiamo il bar – pensò. Accese il cellulare e come ogni mattina il trillo dell’sms gli annunciava l’arrivo dell’oroscopo quotidiano. “Gemelli: oggi non vi sentite molto bene”. Calogero Randazzo ebbe appena il tempo pensare la parola che inizia con la s fotografata sulla strada per Figueras (Spagna) dagli alunni dell’ITC “Ferrara” di Palermo, durante il viaggio d’istruzione dell’aprile scorso e segnalata da Raffaella Catalano. Quella sotto questo post.
    Una fitta dolorosa gli troncò il respiro.
    E morì.

  3. Proporrei una figlia di Santina Sicilia, avuta da una relazione con un pescatore poi morto in mare, quando lei non era ancora donna tranne che per generare, aveva appena 14 anni. Scilla, la chiamerei, questa ragazza ben tornita, gli occhi di brace come la madre…

  4. Ma la storia del pescatore poi morto in mare è solo una leggenda (metropolitana?). Certo, si blaterò a lungo di un pescatore, tale Enzo Cariddi, che subito dopo aver ingravidato la tenera e sensuale adolescente, si sentì male e morì. Me era una frottola creata ad arte per depistare quei prezzolati gazzettieri comunisti che avevano intuito chi fosse il padre biologico, il vero papi di Scilla. Sì, proprio lui, Bastiano Salaparuta. Vengono i brividi a solo nominarlo. Ma lei, Scilla, ingrata, non vuole fare la televisione e si è pure innamorata di un ragioniere di idee strane. Pare voti centrosinistra. Questa mezza calzetta si chiama Pino Donnalucata, ed è fiananche amico di Tommaso Lampedusa. E’ assai straana questa storia.

  5. Ah, se Scilla avesse ascoltato i consigli di suo fratello Tuccio Ficarazzi (il cognome è dei genitori adottivi, due pacati e ormai anziani biologi del comprensorio tra Palermo e Bagheria). Lui, Tuccio suo, le aveva raccomandato di non frequentare il bar degli Enna né (soprattutto) di farsi vedere per le strade di Lampara con quella poco di buono: Marta Santaflavia, la figlia di Caropepe, il cavallaro…

  6. … Che da allevatore irregolare e spacciatore di carne equina si ritrovò protagonista della tragedia del Vallone della Felce, dove – in molti l’hanno dimenticato – un pullman di attempati pellegrini, da lui guidato in stato di allegria etilica, fermò drammaticamente (e anzitempo) la sua corsa verso il santuario di Basilico. Alla carambola nel crepaccio sopravvissero lui (inquisito e presto prosciolto per mano invisibile di Salaparuta) e un falegname scomodo, il quale, però, inspiegabilmente, una notte, a due giorni dalla visita della magistratessa Piazza (Marina) sollevò la testa dal suo cuscino di ospedale, disse: “mi sento morire”, e, di fatto, morì.

  7. Mai chiamarlo, neppure per sbaglio, “Carrapipi”. Vicé Caropepe non ha mai tollerato quel nome un po’ greve e un po’ confidenziale. Solo Sante Pianobattaglia osò farlo. Aveva alzato il gomito. Due bottiglie di syrah in purezza e a stomaco vuoto. Tutti pensarono: povero Sante, si è sentito male ed è morto. Morto, era morto, per carità. Ma ammazzato. Da quel sanguinario di Vicé Caropepe. Guai a voi se lo chiamate Carrapipi.

  8. …Tante cose si porterà sulla coscienza il nostro Caropepe. Non ultima, la torbida relazione con Elena Cerda, moglie del Salaparuta. E sarà meglio che rimanga un segreto. Con i Salaparuta non si scherza. Specialmente a stomaco vuoto.

  9. Ma come può chiamarsi Santaflavia la figlia di Caropepe? Può. E scopriremo il perché. C’entra in qualche modo Macaluso, che in fatto di misteri anagrafici, come si è visto, non scherza.

  10. Tanto che Masino Macaluso, appresa la notizia della morte del padre (la tonnina, rammentate?) si sentì poco bene per lo stress accumulato e a momenti morì.

  11. Tuccio Ficarazzi era un omaccione irascibile. Un vulcano sempre in piena. Chiamarlo “Etna” era riduttivo: lui preferiva “Etnavesuvio”. Non urlava: eruttava e tuonava. E quando sputava, sembrava lava quella schiuma incandescente che gli fuorisciva dal cratere. Un giorno, quello sprovveduto di Salvo Giarreriposto, pur di vederlo esplodere, pronunciò il cognone dell’infuriatissimo Ficarazzi. Ma fece un errore imperdonabile. Spezzò il cognome in due: non fece in tempo a dire anche “Razzi”. Una tempesta di fuoco lo investì incenerendolo. Non ebbe manco il tempo di sentirsi male.

  12. Di tutto si occupa il dottore italoamericano Bianco che, qui a Lampara tutti chiamano, con l’ironia che non manca mai ai lamparesi, Mister Bianco. Bianco è un uomo fuori dagli schemi. E’ venuto a portare la legalità a Lampara. Un ideale che ha coltivato fin da bambino quando suo padre, endocrinologo di pregio, alle minacce di un ancor giovane – ma già cinico – Salaparuta, si portò una mano al petto, si accorse che i battiti gli abbandonavano il polso e… (continua)

  13. Mister Bianco, durante quella pausa, pensò a Tindara Sottocoperta. Lo sapeva che lei non lo avrebbe mai sposato. Era la prostituta di Lampara e se aveva scelto il mestiere più antico del mondo forse era proprio perché non si voleva sposare. Quell’improvvisa consapevolezza provocò a Bianco una fitta a un piede. Si abbassò per guardarsi tra alluce e secondo dito e, nel chinarsi, sbatté la testa sullo spigolo di un tavolino. E quasi morì.

  14. Non l’aveva mandata giù, Vicè, che Tuccio avesse insidiato sua figlia. Sperava in meglio, lui, per quelle labbra così rosse, quel seno che sembrava scoppiare dentro le camicette coi bordi di pizzo della domenica, per quella voce scura, color cobalto, che eccitava solo a chiedere un caffè al bar della piazza. Sì, era messa in conto la vendetta: e nonostante ormai attempato e sbracato nel corpo, la vendetta di Vicè Caropepe nei confronti di Tuccio Ficarazzi aveva un nome solo: Scilla. Sarebbe stata sua, ad ogni costo. Occhio per occhio, dente per dente. Quello lì sua figlia, lui la sorella di Tuccio. L’aspettò una sera, poco prima che facesse buio, mentre lei usciva dalla farmacia di Santino Letojanni, detto Santu ‘u sciroppu.

  15. Un capitolo a parte merita Dore Pantelleria. Gran produttore di moscato e di passito. Non smise mai di millantare e mentire. Un mitomane, un instancabile mistificatore. Ma finì per pagarla. Diceva in giro di essere stato con Carol Bouquet. Salaparuta lo avvertì di non fare l’idiota (glielo disse in modo più pittoresco). Spaccone come solo lui sapeva essere, un giorno incontrò Gerard Daperdieu e gli confessò di aver conosciuto biblicamente la bella Carol. Non ci furono conseguenze immediate: Depardieu aveva smesso di amare la Bouquet già da un pezzo. Pantelleria si sentì male qualche giorno dopo: morì avvelenato da un sorso di marsala.

  16. La notizia della tragedia raggiunse presto il frate priore del Santuario di Basilico. S’inginocchiò e pregò. Pregoò giorno notte per quelle anime. Dopo due giorni finalmente si alzò. Suor Concettina lo guardò.
    Padre! padre. Lei è troppo pallido.. cos’ha?
    Non mi sento molto bene – sussurrò lui.
    Furono le sue ultime parole.
    Pochi minuti dopo, che ve lo dico a fare, morì.

  17. Suor Concettina, buona anche lei… Crocifissa – detta Crocetta – Tremestieri era nata da famiglia agiata, borghesia imparentata con l’aristocrazia in declino. Ragazza bella, sveglia, di costumi moderni, nonostante l’oscurantismo che regnava in paese. Si vociferava che i più bei ragazzi del paese li avesse, come dire?, provati tutti. Una vergogna per il padre, Ezio Tremestieri. e la madre, Maria Trabia. Un giorno il padre le impedì di uscire: troppe le chiacchiere per uno come lui, che fin dai quarant’anni era stato debole di cuore. Lei si calò giù dal balconcino della cucina. E andò a passeggiare con le amiche finché incrociò lo sguardo di Tano, il più spavaldo fra quelli che avevano passato da poco l’adolescenza. Tano l’afferrò letteralmente e la portò dentro un androne dove furono fuoco e fiamme di passione. Ezio corse a cercare la figlia come un forsennato, chiese dove potesse essere, gli dissero dove era stata vista l’ultima volta, girò e rigirò piazzette e vicoli finché giunse a lei, sull’onda dei gemiti che provenivano dall’androne. Spalancò il portone socchiuso e si trovò di fronte alla vergogna. Dinanzi alla quale soccombere fu istantaneo. Crollò ai piedi della figlia ribelle e del ragazzo che la stava violando. Infarto fulminante. Spinta dal rimorso, Crocetta si fece suora, Suor Concettina.

  18. Pantelleria aveva una sorella minore. Si chiamava Isola. Era un ragazza molto vivace. Andava per filari. Fumava molto ma amava farsi le sigarette con il tabacco. Aveva un’amica che si chiamava Josè. le due si incontravano spesso. Si sedevano davanti ad un tramonto, Isola prendeva le cartina e il tabacco e le chiedeva Josè.. Rallo?
    Poi un giorno Isola si sentì molto sola. Fece un tuffo in mare e nessuno più la vide emergere. il dubbio, legittimo, è che si sia sentita male.

  19. Il fratello di Isola Minore, Nico Atollo si disperò moltissimo. Piangeva notte e giorno. Non aveva pace. Lui era cresciuto accanto a sua sorella e di lei aveva sempre apprezzato la fermezza, il suo essere Isola in un mare di problemi. Il suo dolore cresceva ogni giorno di più. Presto divenne lo scemo del paese.. tutti gli gridavano dietro “ah tollo! Non ne sono certa, ma credo che non stia ancora molto bene.

  20. Tommaso Lampedusa era nervoso. Fumava senza requie e aveba già bevuto tre caffè caffè. Guardava nervosamente il bell’orologio d’oro che aveva tirato fuori dalla cassaforte, per l’occasione. Improfumato e con quella camicia bianca che esaltava l’abbronzatura, era proprio un figurino. Ma perché tanta eccitazione? Sfido chiunque a restare calmi e serafici sapendo di dover incontrare Gilda Donnafugata. Tommaso sapeva che Gilda non era una donna come tante. Sì, bella, anzi bellissima. Ma speciale, come poche. Gilda Donnafugata era la primogenita di Bastiano Salaparuta: Donnafugata era il nome d’arte che la produzione “Baci e Spari” le aveva imposto per il suo secondo film, “Padrini e madrine”. Il primo era stato un flop. Un fim con pretese intellettualistiche, una cosa alla Bergman, un pacco. E lei si chiamava ancora Gilda Salaparuta. Il trillo del cellulare avvertiva che stava parcheggiando. Lampedusa pensò che il paradiso era lì, distava da lui un paio di minuti.


  21. – Scilluzza bedda, ma tuo fratello lo sa che te ne vai in giro tutta sola? Le brave ragazze a quest’ora sono a casa a dire il rosario… E tu? Tu non lo dici il rosario?
    – Buonasera ‘zu Vicè. Mi deve scusare, ma sono in ritardo e se non torno subito a casa, si preoccupano.
    Vicè Caropepe si era piazzato di fronte alla ragazza, bloccandole il passaggio. Il vicolo era stretto, e Scilla avrebbe dovuto appiattirsi lungo il muro per procedere. Sapeva che era esattamente quello che voleva lui, il cavallaro. Aveva notato gli sguardi vogliosi del vecchio negli ultimi giorni. Eppure, non le erano dispiaciuti, anzi si era sentita lusingata. In fondo Vicè Caropepe era ancora un bell’uomo, vigoroso, e Marta le aveva detto che con lei era sempre molto gentile quando le diceva di toccarlo. A volte le faceva un po’ male, ma solo un po’. Si vedeva che le voleva bene, la riempiva di regali costosi. Anche lei avrebbe voluto un padre come Vicè Caropepe.
    Scilla procedette lentamente, indugiando quando si trovò a contatto col vecchio…

  22. Un incontro di fuoco. Il fuoco della passione di Tommaso Lampedusa e il fuoco delle labbra di Gilda Donnafugata si incontrarono in un paradiso bollente, un eden incendiario. Due corpi inghiottiti nel più bello degli inferni possibili. Fu un rumore sordo e metallico, anzi metallico-legnoso, a far tornare in terra il Lampedusa. Ormai prossimo al giusto premio, un orgasmo violento come raramente era accaduto. Uscì da lei fiottando e non certo per precauzioni anticoncezionali. Doveva impugnare l’artiglieria. La sua quarantacinque sparò quattro colpi. Tre andarono a segno. E tre poveretti finirono giù in un lago di sangue. Il quarto era in fuga. Poteva inseguirlo con il coso eretto e ancora schiumoso? Si distrasse per indossare almeno i boxer. Ingenuo. Lampedusa tutto era tranne che ingenuo. L’estasi interrotta che gli colava tra le gambe lo aveva rimbambito. Lo sparo fu assordante, quasi accecante: un bagliore vischioso. Un orgasmo di piombo. Raggiunse tra gli occhi Gilda. Tommaso ebbe un sussulto. Si sentì male. Non morì. Ma non fu capace d’altro se non di accasciarsi sulla poltrona accanto al letto insanguinato.

  23. Gilda Salaparuta spense il motore. Indirizzò lo specchietto retrovisore verso di sè e diede un ultimo sguardo.
    – Miii, la ricrescita delle sopracciglia mi sono scordata!
    Urlò con una nota isterica nella voce.
    – Vabè, tanto quello quando mi vede non capisce più niente. Altro che sopracciglia…
    La donna sorrise al pensiero del loro ultimo incontro, all’imbarazzo del povero Lampedusa di fronte a quella fuoriuscita anticipata.
    “Chissà se stavolta arriverò almeno a togliermi il reggiseno”, pensò con un sorriso beffardo.
    Consapevole del potere che esercitava sull’uomo che stava per incontrare, Gilda scese dalla sua SLK e si avviò traballante sui 22 cm di pitone dorato, ultimo regalo di papi.
    “Minchia, la spazzatura mi sono dimenticata di buttare” pensò entrando in casa.

  24. @gianni: Battuta sul tempo. Ma la storia si incastra alla perfezione, mi pare…

  25. Ma l’assessore Pino Calatrasi si rende conto che al camposanto di Lampara una famiglia mafiosa, i Traimari, controlla gli appalti cimiteriali.

  26. Nel frattempo Mister Bianco, dopo aver sbattuto la testa sullo spigolo chinandosi per controllare il piede, era stato trasportato in ospedale. Era quasi morto, non morto. Mentre stava sdraiato sul lettino, in corsia, gli si avvicinò il medico di turno, la dottoressa Cetty Corvoglicine. Per l’emozione di vedere una così bella donna, Bianco sollevò il piede all’improvviso, verso la faccia della conturbante dottoressa. Lei, giocoforza, annusò. Si sentì male. E morì.

  27. Figlio del peccato, lo chiamavano. E a lui – tanto riesce a fare l’ingenuità di un bambino di sei anni ! – quasi sembrava un merito, un talento malefico che lo rendeva diverso dagli altri fanciulli. Ma quanto forte fosse nel frugolo la consapevolezza di sé, la dannazione del suo passato e la rabbia che fiammeggiava ancora vergine nel suo futuro si seppe quella mattina alle undici quando, provocato da un compagnuccio della sua stessa età, e cacciando un temperino nel cortile della scuola, disse a denti stretti: “ohu, curo’, accura che io sono un Salaparuta. E’ megghiu ca ti lievi i’ ravanzi a ‘mmia, senno ti sfissu”. E il piccolo sfidante ( di lui qualcuno ricorda il nome: Orio Saputo) indietreggiò, pallido, davanti a quella lama, alla ferocia del coetaneo, a quel suo cognome fatale, rivelato all’improvviso, che gli echeggiava nelle orecchie: “Salaparuta… salaparuta… sala…”.
    Era solo un ragazzino, Saputo, ma ci mancò poco che la paura avesse la meglio su di lui e, crollando ai piedi di quel Salaparuta jr. che buttava la maschera,… be’, morisse.

  28. L’affare cimiteriale è diventato troppo grosso, qualcuno vorrebbe estromettere i Traimari

  29. Cetty Corvoglicine era sposata con un uomo di colore che veniva dalla provincia di Siracusa. Tutti lo chiamavano Nero d’Avola. Da quando Obama era stato eletto presidente degli Stati Uniti s’era messo in testa di diventare sindaco. Poi un giorno capì che nei suoi occhi stava succedendo qualcosa. Non ci vedo più! Non ci vedo più! Andò dall’oculista che gli diagnosticò il Cataratto in entrambi gli occhi. Proprio mentre il medico stava scrivendo la fattura, Nero d’Avola, come se fosse ubriaco, iniziò a roteare. S’accasciò. Non morì subito però. Dopo circa 10 minuti.

  30. Sul luogo accorse Mercedes Adamo (detto motors, per la passione che suo marito, un mandrillo di Manila aveva per donne e motori) bidella filippina assunta da un illuminato preside di sinistra (morto giovane al ristorante “L’eleganza della cozza e della vongola”, per un malore) e presto divenuta madre consigliera delle giovani lamparesi che alla scuola elementare Vittorini accompagnavano i loro svogliatissimi frugoli. “Madre de dios! Fermi, Hijos de puta!”, fece la coriacea Mercedes, portandosi le mani ai capelli di seta che cominciavano a mostrare sparuti biancori. Essendo di Manila, aveva avuto a che fare fin dalla nascita con caldane improvvise e violenze atmosferiche e dittatoriali. Così, nonostante il malessere che le strappava il fiato, si riebbe, separò i due bambine e, per la gioia di molti, non morì. Piuttosto rise. Rise come sanno fare solo quegli orientali saggi, cui la vita ha consegnato l’arma del buonumore anche nelle temperie più forti.

  31. L’oculista, un tedesco che si chiamava Hans Gewurztraminer, ci rimase proprio male per quel paziente che gli si era accasciato sotto gli occhi. Si sentì oltraggiato nel suo orgoglio professionale. Barcollò, fece a stento due passi, cadde e (va da sé) morì, steso sul suo paziente.

  32. Sul Camposanto allargato di Lampara girano più milioni che per la ricostruzione dell’Aquila

  33. “Mancano virgole e concordanze nel tuo racconto dei fatti!” la rimproverò Peppe Balestrate, il preside della Vittorini.
    “Pero callate, professore!”, rispose Mercedes, salace come sempre. “Sono ‘biba’ per miracolo, ho ebitato una lucha coi coltelli, y tu me rumpes las pelotas con la gramatica… In culo!”.
    “Hai ragione, scusa” disse Balestrate. “Mangiamoci quelle due melenzane al forno, che ha fatto quella sbalestrata di mia sorella Tindara”.
    “Melenzanas al porno?”, disse Mercedes.
    Furono le sue ultime parole. E dicono che fu proprio per quella pietanza che…

  34. La segretaria di Hans Gewurztraminer, Stasi Markel, aveva assistito alla tragedia. Si senti male. Urlò, chiamò 118. Fece appena in tempo. Sembrava stesse bene. Ma durante il tragitto un tir con rimorchio targato sp 34589, 2 che procedeva in senso contrario investì l’autoambulanza. E Stasi Markel morì.

  35. Bastiano Salaparuta fece il suo ingresso dall’entrata secondaria. A coprirgli le spalle c’erano Pino Romitello e Luciano Partinico. Il locale era buio e al tempo stesso sfavillante. Buio pece con spot e luci che improvvismente illuminavano a giorno l’ambiente e a sprazzi i clienti appollaiati davanti al bancone e quelli stravaccati a godersi i balletti scosciati delle spogliarelliste. Tra queste c’era una stella che illuminava Il Blue Magic Night di luce propria. Rosi Peloritano ballava languida e inarcava la schiena e mostrava ai libidinosi spettatori un lato b di tutto rispetto. Era vietato fare apprezzamenti volgari e urlati. Pena la cacciata a pedate, minimo, dal locale. Mimmo Fraginesi era visibilmente eccitato. Sudava finanche. Sorseggiava il suo drink e si toccava fugacemente tra le gambe. “Che porco, ‘sto maiale” pensò con la bocca storta il Salaparuta. Fraginesi al culmine del desiderio tirò fuori dal portafogli due banconote da cinquanta euro. Salaparuta, alle spalle, gli sussurrò: “Sono picca cento euri”. Fraginesi riconobbe quella voce e la sudorazione decuplicò di botto. Sentì la punta della lama che gli graffiava la schiena. Sorrise per darsi un tono. Il graffio divenne lacerazione e poi ferita viva: la giacca bianca si macchiò di rosso. Un gemito, un urlo soffocato. Poi il buio, quello definitivo, quello vero. “Balla Rosi, balla” disse con un sorriso pieno di denti d’oro il Salapatura. Romitello e Partinico portarono via il cadavere di Fraginesi nell’indifferenza generale. Bastiano Salaparatura non era geloso, ma detestava che valutassero sua moglie solo un paio di banconote da cinquanta euro.

  36. Ho capito. Mi tocca dialogo tra Salaparuta e Rosi Peloritano. Preferibilmente prima che lei si senta male e muoia.

  37. La scelta dei cognomi fa pensare che il tasso alcolico nel sangue è elevatissimo qui. Cheers!

  38. Al cimitero fece irruzione la polizia. Da una delle due auto arrivate sul posto scese il commissario (poteva mancare un commissario) Bepi Tocai, un friulano tutto d’un pezzo. Voleva vederci chiaro nel racket delle tombe gestito dai temibili fratelli Traimari. Si diresse con passo spedito verso gli uffici del camposanto. Ma mentre procedeva ammirando le statue del cimitero monumentale, inciampò in una lastra di marmo appena sollevata. Quasi fosse un ralenti, vide se stesso che rovinava verso quella tomba. Un istante prima che la sua fronte cozzasse sulla sepoltura gentilizia, uno dei suoi addestratissimi uomini riuscì ad afferrarlo.
    “Commissario”, gli disse, “è meglio che lei abbia a che fare con i Traimari da vivo, piuttosto che da morto”.

  39. Ma come s’intitola il feuilleton? “Vivere – e soprattutto morire – a Lampara”?

  40. “Mi piace”, disse Lampedusa indietreggiando di in paio di passi dalla tela appesa, come per misurarla. “Come hai detto che si chiama questo pittore?”.
    “Allegra”, si affrettò a rispondere l’assessore Calatrasi, il cui impegno sociale per la legalità non era che una facciata comoda, un po’ maschera, un po’ alibi sociale alla moda. In realtà era uno scherano di Lampedusa, il potente, il superbo, l’altero, il vanitoso, il dandy. “Dipinge e disegna”.
    Lampedusa puntò un dito sul ritratto. “M’assomiglia davvero o è impressione mia?”.
    “Rende molto l’idea”, disse un ruffianissimo Calatrasi.
    “Ma io ho smesso di fumare da tempo”.
    “La sigaretta è un’interpretazione dell’artista. Ma al disegno gli manca la parola, conte… sembra che dica…”.
    “Io sono Lampedusa… inchinatevi al mio passaggio!”.
    “Sì, proprio così conte!”.
    Lampedusa fece un sorriso storto. Era il suo modo di compiacersi.
    “Quell’esproprio che mi chiedevi”, disse poi a Calatrasi, senza guardarlo.
    “Una cosetta!”. L’assessore giunse le mani, se le fregò, famelico. “Basta firmare una carta e…”.
    “E dammela, questa carta”, tagliò corto il conte, estraendo la sua Caran D’ache dal taschino. “Prima che ci ripensi e mi senta male”.
    Calatrasi strisciò veloce a prendere quello che doveva prendere.
    “Allegra…” mormorò il conte guardando ancora il quadro che lo ritraeva. “Questo nome non mi è nuovo…”

  41. Alla centrale di polizia, il commissario Capaci non riusciva più a stare dietro al susseguirsi di morti accidentali e ammazzatine che si stavano verificando a Lampara nelle ultime ore. Da quando, cioè, una fazzolettata di blogger perditempo e vari altri intellettuali, avevano deciso che quello era il luogo ideale per ambientarci un thriller-feuilleton-fiction-soap-romanzo. Ma la situazione adesso cominciava a diventare troppo ingarbugliata e Capaci decise che era giunto il momento di farsi aiutare da una persona “di fiducia”. Lui da solo, non ce la poteva fare.
    – Pronto, Lando, ci sei? Gaspare sono. Ho bisogno di te.
    Lando Castelluccio era un giornalista molto conosciuto a Lampara, uno che non le mandava a dire. Schietto e un po’ irascibile, ma di un’onestà che manco se la meritava, in passato aveva avuto qualche problemuccio con un politico del paese per questioni di femmine. Appassionato di musica, faceva parte della banda musicale del comune, suonava i piatti. La sua passione!
    Il commissario Capaci non aveva scelta: doveva ricorrere all’acume dell’amico per risolvere la faccenda. Lui in queste cose complicate era più bravo. Da sempre…

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