Quel che la tecnologia toglie, poi restituisce. Fatica, ingombro, pesantezza: un computer si mostra amico, ti blandisce, “non ti preoccupare, ti aiuto io”. Rapidità di esecuzione, capacità di calcolo, buona (di)gestione di dati.
Sembra il miracolo degli ultimi millenni fino a quando non ti viene presentato il conto. Sì, perché un conto da pagare c’è sempre. Nel mio caso, 23 ore di paralisi assoluta tra file impazziti ed eventi ingovernabili. Il peccato originale è tutto mio, questo devo dirlo. Però una reazione così dura non me la sarei mai aspettata. E’ successo che, per sbaglio, martedì notte ho inviato via posta elettronica un file pesantissimo. E lì è iniziato il dramma: macchina impallata, moltiplicazione di errori, mail senza redini, attività residua del computer pressoché a zero. C’è voluta l’assistenza telematica di un amico d’infanzia (ora supergenio dei superbit) per isolare il mio iMac come se fosse il reattore assassino di Chernobyl. A me è toccato spalare tra le macerie e iniziare una lunga ricostruzione: account, indirizzi, messaggi scomparsi… Senza contare che una giornata di lavoro persa significa qualcosa.
So benissimo che parlare di elettronica e cibernetica è, specie in questa sede, come discutere di calcio. C’è sempre il più esperto di tutti che ha la ricetta magica, l’ammonimento sommo: “Ma era una cosa semplicissima, bastava fare così e così…”; “Conosco un software che ti spurga pure lo scarico della lavastoviglie…”; “Mai concedersi un clic senza essersi fatto il segno della croce prima…”. Tutti esperti di computer, tutti allenatori della nazionale…. Oggi però astenetevi, per favore.