Battipanni, liberi tutti

Ricapitoliamo. Quasi una settimana fa, un tranquillo signore della città più cool d’Italia, mentre è a cena con moglie e amici, scopre che gli stanno svaligiando la casa. Sorprende i ladri, si mette lui stesso all’inseguimento e cerca di farli arrestare. Cerca, perché quattro dei cinque banditi si rifugiano all’interno di quella terra di nessuno che è il campo nomadi, un posto dove la polizia non ha vergogna di ammettere che si rifiuta di entrare. L’unico fesso che si fa arrestare non è poi così fesso: due giorni dopo si becca i domiciliari nella baracca accanto a quelle dei suoi compari, e addirittura – nonostante la quasi flagranza di reato – dice al giudice che lui si trovava lì di passaggio, anzi si era fermato proprio in quella strada giusto per pisciare. Qui trovate qualche notizia sulla sua fedina penale: furto, tentato furto, tentata rapina, furto, furto…
Sono stato comunista, vegetariano, diessino, animalista, progressista, nipotino dei fiori, garantista, girotondino, movimentista, lenzuolista. Eppure quando accadono certe cose mi sento un fascista. Perché talvolta – a seconda delle esperienze – siamo tentati di cedere a un ideale di giustizia prêt-à-porter, una giustizia immediata, costruita su misura, vergognosamente comoda. Ci sporgiamo dalla barricata, spiamo l’arma del nostro peggiore nemico. E capita che, con dolorosa rassegnazione, ci sembri la più efficace. Non dura lex sed lex, bensì mea lex… con quel che ne consegue.
Basterebbe poco per risolvere questa tragica ossessione. Basterebbe che un pluripregiudicato, (nomade, rumeno, italiano o di qualunque altra nazionalità) rimanesse in carcere per espiare le sue colpe. Basterebbe che un questore (tanto più se di una città cool) decidesse di espugnare una terra che, a dispetto di qualunque logica civile, è chiusa ai controlli di polizia.
Cinque colpevoli, uno solo individuato e punito con una sculacciata. Gli altri giocano a nascondino nel giardinetto sotto casa. Nessuno li cerca: si annoiano quasi, prima di arrivare al “battipanni, liberi tutti”.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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