Questo non sarà un post molto popolare, perché sono costretto a parlare di me.
Sono un giornalista professionista dal 1989 e da qualche anno cerco di fare lo scrittore e l’autore a tempo pieno. Mestieri difficili: molto sudore, pochi soldi.
Partorire un’idea, farla crescere nel miglior modo possibile, condurla per mano, assicurarle tutti i comfort possibili, sostentarla, consegnarla infine al suo destino maturo è una fatica immensa. La lettura non è uno sport popolare e gli incassi non permettono stravizi.
Quando si parla di narratori si pensa a caste, a consorterie privilegiate che fanno dell’invenzione un mestiere comodo: “Cosa ci vuole a raccontare una storia? Io ne ho decine di bellissime”. Quante volte mi sono sentito ripetere questa frase da amici o pseudo tali.
Ci vuole uno stomaco di ferro per digerire i sorrisini di chi ti giudica senza mai averti letto, mentre tesse le lodi del bestseller del momento, senza ovviamente averlo mai letto.
Ci vuole un etto di fegato in più dell’ordinario per immaginare di catturare ore della vita di un lettore sconosciuto e costringerlo a sorbirsi i tuoi aggettivi.
Ci vuole molta pazienza a vedersi tracciare la via da soloni della politica o da opinionisti dell’ultima ora: il rapporto con la propria città, il contesto sociale, la scuola di pensiero, il genere ibrido, lo stile conservatore o mancino…
Ci vuole un barile di bile per assistere alla lettura distratta di un manoscritto che è ti è costato anni di lavoro.
Ci vuole cuore da condividere anche se si è egoisti, perché una storia non funziona se non rispetta il principio di universalità.
Ci vuole voce per urlare che gli scrittori, tutti, famosi e non, sono esseri vulnerabili pur nel loro egocentrismo: vivono di fantasia, passano notti insonni a inseguire una virgola, cancellano per produrre, producono per illudersi di non essere cancellati come spesso pensano di meritare.
E’ facile buttarla in politica quando si parla di Israele alla Fiera del libro di Torino. E’ facile cedere agli estremismi quando si tratta (come ammoniva Giacomo Cacciatore ieri) di parole e pensieri. Il difficile è fare un passo indietro. E pensare che ogni forma artistica è sofferenza più che godimento, per chi la crea. Le nazioni, le religioni, le alleanze, la lingua sono un mero contenitore.
Ecco, cari polemisti dalla vista corta, discutete del Tetra Pak, ma non boicottate le idee.