Una minoranza contundente che ha l’ardire di definirsi, a cortei sguainati, pacifista ha scatenato negli ultimi giorni un attacco inusitato contro gli organizzatori della Fiera del libro di Torino, il massimo evento letterario nazionale. Motivo? Il posto di ospite d’onore assegnato quest’anno a Israele.
L’argomento ha già suscitato molte autorevoli prese di posizione, da Claudio Magris a Magdi Allam, da Aldo Grasso a Fausto Bertinotti. Ho firmato il documento stilato da Raul Montanari (che riporto in coda a questo post), ma avrei voluto aggiungere alcune righe accanto al mio nome e cognome. Queste.
La tutela delle diversità è l’unico modo che abbiamo per dare un po’ d’acqua al giardino della cultura. La cultura non può avere colore, non si vernicia l’aria che respiriamo. L’intolleranza è la più inaccettabile forma di violenza imposta alle idee. E le idee sono gli unici ponti a prova di bombe intelligenti che uniscono New York a Bagdad, Londra a Kabul, Palermo a Berlino.
Chi vuole boicottare scrittori del rango di Abraham Yehoshua, solo perché non è nato a Liverpool, è un idiota che gode ancora nel farsi sodomizzare da un’ideologia defunta: potenza del rigor mortis.
Con questa firma esprimiamo una solidarietà senza riserve nei confronti degli organizzatori della Fiera del libro di Torino, nel momento in cui questo evento di prima grandezza della vita letteraria nazionale viene attaccato per aver scelto Israele come paese ospite dell’edizione 2008. L’appello a cui aderiamo s’intende apartitico, e politico solo nell’accezione più alta e radicale del termine. Non intende affatto definire uno schieramento, se non alla luce di poche idee semplici e profondamente vissute. In particolare, l’idea che le opinioni critiche, che chiunque fra noi è libero di avere nei confronti di aspetti specifici della politica dell’attuale amministrazione israeliana, possono tranquillamente, diremmo perfino banalmente!, coesistere con il più grande affetto e riconoscimento per la cultura ebraica e le sue manifestazioni letterarie dentro e fuori Israele. Queste manifestazioni sono da sempre così strettamente intrecciate con la cultura occidentale nel suo insieme, rappresentano una voce talmente indistinguibile da quella di tutti noi, che qualsiasi aggressione nei loro confronti va considerata un atto di cieco e ottuso autolesionismo.