Palermo, la mia città

Sono palermitano, nato e cresciuto a Palermo (con una lontanissima parentesi padovana) da genitori palermitani. Ho un legame forte con la mia città, non l’ho lasciata e non la lascio nonostante al nord abbia più di un interesse (lavorativo, culturale, persino sportivo…). Sono palermitano, ma non considero Palermo il fulcro del mio mondo né un crogiuolo di debolezze da esaltare. Va bene la salvaguardia dell’identità, ma farne una bandiera – specie se i colori non sono altro che chiazze di unto e spruzzi di ignoranza –, quello no.
C’è, da qualche anno, una tendenza all’esaltazione del palermitanismo, del palermitanesimo, della palermitanitudine, intesi come sublimazione dei luoghi comuni, che non mi piace affatto. Parliamoci chiaro: l’elogio della panella (tipico cibo palermitano), la glorificazione del vicolo come specchio della realtà, l’amalgama di rutti e peti, l’uso del dialetto come slang di moda, mi hanno rotto le scatole. Eppure io mangio le panelle, adoro certi vicoli, parlo in dialetto e… tralascio il resto.
Palermo, come qualunque altra città con una fortissima identità storica, culturale e sociale, non può essere solo il suo passato (peraltro non troppo glorioso). E’ anche altro: cambiamento, multirazzialità, innovazione, trasversalità, contaminazione. Eppure sfoglio libri (che si vendono!) pieni di cumpà, comu si’?, chiddici?, bbuoano, e si affrettano verso una conclusione più che scontata. Leggo blog con opinionisti che fanno del pani ca mieusa un tema da sviluppare a puntate. Assisto a trasmissioni televisive che, pur di fare l’elogio di un provincialismo retrò e popolare, schierano ospiti che non conoscono i congiuntivi, ma che si professano sacerdoti della saggezza antica, quella del vicolo naturalmente.
A Palermo, la mia città, non c’è discorso più impopolare di questo. Puoi schierarti con la destra o con la sinistra, puoi pagare il pizzo o no, puoi rimpiangere la vecchia antimafia o celebrare il nuovo corso. Se tocchi la panella, i suoi profeti, il cumpà comu si’ o l’elogio del rutto, sei bell’e ammazzato. Con proiettili di crocché.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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