C’è una certa confusione attorno agli ultimi sviluppi del caso Contrada. L’iniziativa del difensore che ha chiesto la grazia e l’istanza di scarcerazione girata dal Quirinale al tribunale di sorveglianza sono due momenti molto diversi tra loro. La prima ha come destinatario reale il ministero di Grazia e giustizia, la seconda appunto la magistratura ordinaria. Per questo Napolitano ha troncato con una breve nota le proteste del fronte del no: ci sono leggi, pronunciamenti della Corte costituzionale, magistrati che scioglieranno i nodi, “il Quirinale conosce bene le procedure” quindi non interferisce. E’ utile tenere a mente questi passaggi per evitare di trapiantare forzosamente – con immani pericoli di rigetto – la vicenda in un ambito politico.
Restano i convincimenti personali: chiunque ha il suo. Personalmente, credo che Contrada sia vittima di un ragionamento molto difficile da decostruire, perché – cerco di essere chiaro – basato su un meccanismo logico-giuridico decontestualizzato. Si è giudicato un poliziotto secondo un’ottica molto diversa da quella che si sarebbe adottata all’epoca in cui i reati sarebbero stati commessi. Fare lo sbirro a Palermo negli anni Settanta significava anche sporcarsi le mani, marciare sul filo del rasoio, frequentare e spiare, spiare e lasciarsi frequentare. Ci sono molti soloni in calzoncini corti che, attualmente, sparano pareri sulla legalità senza sapere che questa è sempre figlia del tempo. Ci sono reati che si sono trasformati, leggi che cambiano, mestieri che si evolvono, agoni politici mutevoli, c’è l’emergenza e c’è il sentire comune.
Contrada va comunque trattato con dignità, la stessa che lui ha mostrato durante questi anni di battaglie giudiziarie.