Due studi psichiatrici, uno americano e uno olandese, hanno attirato ieri la mia attenzione. Da un lato un team di esperti è arrivato alla conclusione che un po’ di tristezza è utile alla nostra salute, dall’altro una ricerca dice che il mal d’amore può davvero uccidere. Poeti, cantanti, scrittori ci hanno raccontato la complessità del buio interiore, ora la scienza mette un timbro a secco sul foglio delicato di certe emozioni.
Molti di noi conoscono il disagio o addirittura il dramma della depressione, pochi (io non sono tra questi) sanno leggere tra le righe del libro che scriviamo, giorno dopo giorno, con i nostri entusiasmi, le nostre incazzature, le nostre passioni e le relative delusioni. Siamo chimica, ci ricordano gli scienziati, siamo il frutto di un complicatissimo dosaggio istantaneo di ormoni, neurotrasmettitori, enzimi e chissà cos’altro. Dietro un sorriso c’è uno schizzo infinitesimale di serotonina, una porta sbattuta è figlia di mamma adrenalina. La visione biochimica delle emozioni mi ha consolato in qualche momento difficile, eppure mi ostino a valutare il calore di un abbraccio o l’incanto di un tramonto come qualcosa di estraneo ai composti del carbonio. Che la tristezza sia una tappa ineludibile nel lungo cammino verso la felicità ce lo insegnano i grandi artisti. Dietro un’opera memorabile c’è sempre uno stato di insoddisfazione: uno scoppio propulsivo verso il meglio che si cerca e che non si trova. Ed è questa tensione che ci regala il bello che non teme il tempo.