Ho seguito le cronache sul giallo di Perugia e, letterariamente parlando, ne ho ricavato l’impressione di una vicenda intricata e ben equilibrata dal punto di vista investigativo.
Breve parentesi: parliamo di un delitto tremendo che spande una macchia di dolore indelebile per amici e parenti della vittima, la povera Meredith; ma per le considerazioni che seguono dobbiamo spogliarci delle emozioni e concentrarci su indizi e moventi.
I tre indiziati, per i quali ieri il gip ha convalidato gli arresti, sono due fidanzati, l’americana Amanda e il pugliese Raffaele, e il cittadino congolese Patrick. Nell’ordinanza del gip si fa riferimento alle diverse versioni che, nel giro di breve tempo, Amanda e Raffaele danno di quella sera e in particolare di quell’arco di ore, dalle 21,30 a circa mezzanotte del primo novembre. Per farla breve, i due cambiano tesi, con un certo impegno, da un giorno all’altro. E se l’orario notturno degli interrogatori – si fa così, è una regola non scritta dell’indagine – può costituire un’innegabile pressione psicologica, il ricordo dei luoghi e delle compagnie frequentati in un giorno così cruciale non può essere evanescente, come invece si evince dalle testimonianze dei due ragazzi. Ciò ha indotto – giustamente – il giudice a porsi una domanda: perché questi ragazzi mentono? Colpevoli o no, i ragazzi infatti mentono, per semplice constatazione dei fatti. E a poco può valere, in sede giudiziaria, la giustificazione da loro invocata dello stato di confusione dovuto al consumo di hashish: uno che si fa le canne ricorda o non ricorda, è difficile che ricordi, poi corregga, poi corregga ancora…
Patrick ha un ruolo delicatissimo. Secondo la testimonianza di Amanda lui avrebbe avuto una responsabilità primaria nell’assassinio, con la complicità (ma questo Amanda non lo dice, lo ipotizzano i magistrati) di Raffaele. L’alibi del congolese è fragile: dice di essere stato al lavoro nel suo pub, ma il primo scontrino che rilascia è delle 22,29, un orario che non lo scagiona. C’è tuttavia un elemento che non va sottovalutato: al momento, tra le tracce trovate nell’appartamento di Meredith non ne esiste una sola che riconduce a lui. Così non è – stando almeno alle prime risultanze –per Raffaele: un coltello a lui sequestrato è compatibile con le ferite mortali sul corpo della vittima e almeno un’impronta sulla pozza di sangue potrebbe essere stata lasciata da una sua scarpa.
Nell’inchiesta ci sono altre deduzioni, molte: i cellulari spenti all’unisono dai due fidanzati intorno alle 21,30 della sera del delitto, alcuni post “profetici” dei loro blog, incongruenze sul numero delle persone presenti nell’appartamento, cambi di abbigliamento sospetti, il “desiderio di Patrick di congiungersi carnalmente con una ragazza che gli piaceva e lo rifiutava”, Meredith appunto.
Il movente è il più difficile da portare in un’aula di tribunale: un misto di passione insana e pulsione irragionevole. Buio su tenebra, insomma.
Più che un delitto imperfetto, quello di Meredith sarebbe un delitto di “fusione”, dai contorni inconsistenti come il fumo di troppe canne. Ora saranno le perizie e il lavoro di menti lucide a diradare le nebbie.
Mi chiedo: voi che ne pensate?