Il 41 bis come una tortura? Un giudice di Los Angeles ha negato all’Italia l’estradizione di un membro della cosca dei Gambino, sostenendo che il regime di detenzione previsto dall’articolo 41 bis della legge sull’ordinamento penitenziario al quale il mafioso sarebbe destinato equivale a una forma di tortura e viola la convenzione dell’Onu.
L’interpretazione non è nuova, già da tempo in Italia una corrente giuridica guarda storto il cosiddetto “carcere duro”. Certo, non si può ribattere a queste critiche negando l’essenza del problema: il 41 bis è un provvedimento estremo al quale si è dovuti ricorrere per fronteggiare una situazione estrema. In quale altro paese moderno i carcerati potevano avere contatti disinvolti con l’esterno, al punto di impartire ordini sui traffici del clan o di commissionare omicidi? In quale altra nazione all’avanguardia era consentito ai detenuti di poter importare stili e vizi di vita libera dietro le sbarre?
La struttura mentale di un mafioso conclamato – cioè nato, cresciuto, invecchiato nel fango di Cosa Nostra – non è facilmente scalfibile. Il carcere come luogo di redenzione e di recupero va bene per chi non ha simili incrostazioni direi quasi congenite. Prendete uno come Provenzano: capo della più grande organizzazione criminale del mondo, sanguinario dalla faccia di mite contadino, imprendibile per 40 anni pur rimanendo a un tiro di schioppo da Palermo… Uno che ha già conosciuto il 41 bis quand’era libero, vivendo in un fetido casolare, con minimi collegamenti con l’esterno. Come si fa a sterilizzare la sua capacità di comunicazione monosillabica ora che è in cella? Come si può impedire a un criminale sanguinario come Totò Riina di esercitare il suo potere sugli altri detenuti (che sono a loro volta cinghie di trasmissione di ordini)?
Con un modo semplice e, lo ammetto, discutibile: isolandoli in modo ferreo.
I mafiosi non sono prigionieri di guerra, sono sanguinari che hanno sgozzato, strangolato, incaprettato e sciolto bambini nell’acido senza neanche un’aberrante “ragione di stato” dalla loro parte. Non si sono ritrovati a dover difendere un ideale o un pezzo di terra, hanno attaccato chi aveva ideali e pezzi di terra. Per spegnere i primi e impadronirsi dei secondi. Non sono neanche, come qualcuno li ha definiti, i ”nuovi barbari” perché, non conoscendo la storia, non sanno neanche di cosa dovrebbero rappresentare il rinnovamento.
C’è una frase che non si scrive in nessun giornale, ma che molte persone oneste, di destra o di sinistra, vittime di mafia o no, colte o ignoranti, siciliane o lombarde, hanno sulla punta della lingua.
La frase è questa: i mafiosi devono marcire in galera.
Con le regole imposte dal 41 bis.