L’antimafia neomelodica

L’articolo pubblicato su la Repubblica.

Sono da sempre favorevole alla cultura pop. Penso che il vero rimedio contro i sepolcri imbiancati non sia cambiare il colore, ma scoperchiarli: e in questo la decontestualizzazione di un messaggio di alto valore civile può essere utile. Ma ci sono dei codici ineludibili da rispettare: una qualunque cosa non è cultura pop, può diventarlo se si riesce a renderla differente da una cosa qualunque.

La partecipazione di Gigi D’Alessio al dibattito nel chiostro della questura di Palermo, nel giorno delle commemorazioni per la strage di via d’Amelio, suscita qualche perplessità proprio perché è fuori da quei codici. Perché se è vero che pur di veicolare un’idea di antimafia moderna è lecito ricorrere a personaggi simbolo, è pur vero che l’idea ci deve essere a priori e deve essere chiara. Soprattutto nel sancta sanctorum dell’investigazione e nel giorno in cui ci si stringe sul ciglio del cratere di Palermo.

D’Alessio era stato invitato in quanto esponente dei cosiddetti neomelodici, dopo il caso di un suo meno noto collega che in tv aveva detto che Falcone e Borsellino se l’erano cercata. Eppure non ha parlato né di mafia, né della strage Borsellino, né di legalità, non ha nemmeno condannato l’improvvido neomelodico di cui sopra. Ha attirato fan, certo: ma basta il “successo di pubblico” per definire l’evento come una missione compiuta?

La ricerca di nuovi modelli non deve far perdere di vista l’obiettivo che è quello di spiegare ai giovani cosa non gli è stato spiegato. O peggio ancora, cosa gli è stato raccontato male, magari con narrazioni storte, deviate. E per fare questo non credo che il personaggio migliore sia uno che qualche mese fa ha dichiarato: “Alla camorra ho regalato un sacco di canzoni”.

La cultura pop è un valore aggiunto non è il “liberi tutti” delle idee.

Genchi e le prove che mancano

“I veri poliziotti che hanno fatto quella cattura si sono vergognati e se ne sono andati e mi hanno telefonato, mi hanno detto qui stanno facendo uno schifo, perchè hanno organizzato una messinscena davanti alla questura, portando le persone loro, con i pullmann, per organizzare quell’apparente solidarietà alla polizia. Ma vi rendete conto di cos’è l’Italia? Che livello di bassezza abbiamo toccato? Che livello di mistificazione?”

Gioacchino Genchi parla a Cervignano del Friuli, per presentare il suo libro. E sostanzialmente dice quello che molti pensano: che gli arresti di Gianni Nicchi e di Gaetano Fidanzati sono serviti per distrarre l’attenzione degli italiani dalle vicende di Berlusconi.
Il ragionamento, visto in campo lungo, non fa una piega.
Se però proviamo a cambiare obiettivo qualche dubbio può venire a galla.
Dice Genchi: Nicchi era uno che ormai contava poco e che forse si stava per costituire, tant’è vero che lo hanno preso a due passi dal Palazzo di giustizia.
E ancora: Fidanzati è vecchio, ha problemi di salute e, come è avvenuto altre volte, si farà qualche giorno di carcere, poi lo faranno uscire.
Quindi Nicchi e Fidanzati sono due mezze calzette e i veri boss sono altrove. Non mi impelago nella valutazione della caratura criminale dei due, ma per quel che mi riguarda è un bene che finiscano in galera tutti i mafiosi, giovani e vecchi, posati e in auge, ammalati o in salute. Che siano mezze calzette o calzelunghe, non cambia nulla. Tanto, tutti li devono prendere.
Secondo Genchi questi provvedimenti a orologeria sono serviti principalmente a oscurare sui media il No Berlusconi Day. Qui bisognerebbe chiedere a Genchi, che è palermitano di Castelbuono, qual è la sua scala di priorità.  Personalmente preferisco che la notizia di una manifestazione antigovernativa venga scalzata dalla notizia di uno scacco alla mafia piuttosto che da un’invenzione minzoliniana o da qualche bizantinismo della politica televisiva.
Ok, il No Berlusconi Day è andato bene e purtroppo non ha avuto l’apertura dei tg, ma il fatto che ci siamo tolti dai piedi due criminali acclarati mi consola più che vedere Rosi Bindi zompettante tra bandiere e striscioni. La mia scala di priorità è questa: mi fa più schifo la mafia che Berlusconi.
E’ un peccato che Genchi, che pure ha lavorato contro la criminalità e il malaffare, dimostri adesso più attenzione per la politica che per il lavoro dei suoi ex colleghi.
Infine l’aspetto più grave delle sue dichiarazioni, quello che riguarda una presunta messinscena dei ragazzi di Addiopizzo e non solo (davanti alla Questura di Palermo c’erano anche cittadini non associati a nulla) per “un’apparente solidarietà alla polizia”.
Chi sono i “veri poliziotti” che hanno telefonato, pieni di vergogna, a Genchi? Ce lo dica, perché se davvero alla Squadra mobile “stanno facendo uno schifo”, noi tifosi sfegatati di quegli sbirri che ci tolgono i mafiosi dalla circolazione dobbiamo saperlo. Chi ha truccato il gioco? Chi è il regista di questa mistificazione?
Gioacchino Genchi, che per mestiere è stato “l’uomo delle prove”, non può lasciarci con l’amaro in bocca proprio mentre brindavamo a un successo dello Stato (e non di Berlusconi) contro la mafia. Non può mascariare impunemente i ragazzi di Addiopizzo e far finta di parlare solo a chi ha orecchie per intendere.
Non può ignorare il disagio di chi ha il sospetto che certe dichiarazioni si attaglino al personaggio e non alla persona, al novello opinion maker e non al cacciatore di prove.