Come bin Laden

Silvio Berlusconi riappare in un videomessaggio di pochi minuti che involontariamente spiega tutto. Non c’è alcun accenno a un chiarimento, ma solo un ringhioso rimando a questioni procedurali (il giudice naturale, come se l’alternativa fosse quello artificiale) nelle poche parole imposte agli italiani senza la caratteristica basilare delle democrazie: quel contraddittorio che invece viene invocato per tentare di tacitare stampa e programmi televisivi non allineati.
Non capisco come un elettore berlusconiano possa ancora trovare fiducia in un uomo che non solo ha tradito tutte le aspettative di media onestà intellettuale, ma continua a offendere gli italiani con una semplice frase: “Non sono mai fuggito”. Il dato incontrovertibile, acclarato da leggi, lodi, procedimenti, sentenze è che Berlusconi è sceso in campo proprio per (s)fuggire (a) da qualcuno o qualcosa. I comunisti, i giudici, Cosa nostra, gli ex amici/sodali.
Non c’è una virgola dei suoi discorsi che possa convincere una persona di buona volontà. L’ultimo fesso che si è fidato di lui si è visto spacciare una ragazzina di dubbia moralità, beccata quasi in flagranza di reato, per la nipote di un capo di Stato (ora pure lui in disgrazia, magari c’è anche un problema di iella…).
Berlusconi invoca la libertà di telefonare a chi vuole e cerca di coinvolgere gli italiani in una  pantomima grottesca. Anche gli stupidi sanno che chiunque è libero di chiamare chi vuole, ma che nessuno può ritenersi al di sopra della legge. Piuttosto se uno parla sempre con le persone sbagliate, è chiaro che prima o poi finirà per essere intercettato. L’importante è che alla fine trovi il modo per spiegare, per discolparsi, per chiarire, al limite per scusarsi.
Lui invece continua a ridicolizzare un Paese e di tanto in tanto, in preda a una irresistibile polluzione di democrazia, manda qualche videomessaggio di propaganda. Praticamente come Osama bin Laden.

Maroni, vieni via…

C’è un equivoco di fondo dietro la partecipazione, imposta quasi per decreto, del ministro degli Interni Roberto Maroni alla trasmissione “Vieni via con me”.  Il diritto di replica è di una parte chiamata in causa, di una parte debole, non di un rappresentante del governo, di un potere forte che sta al di sopra dell’accusa.
Questo è il passaggio fondamentale per capire che quando un esponente di primo piano dello Stato impone la propria presenza in un programma televisivo, per giunta della rete pubblica, si è alla frutta (avariata).
Se un privato cittadino si sente offeso, calunniato, ingiustamente tirato in ballo, deve avere tutti i supporti di legge affinché gli si forniscano gli appigli per un replica che abbia audience adeguata. Quando un rappresentante della Repubblica ha bisogno di forzature da dittatura centroafricana per riuscire a biascicare quattro parole in tv, è segno che si è fatta un po’ di confusione:  un ministro non è un esponente di partito o se lo è – coi tempi che corrono – deve fare in modo da mimetizzarsi in modo che tutti lo possano scambiare per un persona perbene; il luogo deputato per le opinioni sono i mass media, e i rappresentanti politici non possono interferire; nello specifico esibire un fazzoletto verde nel taschino impone una reazione a ciò che quel simbolo rappresenta (divisione, Padania, ronde, celodurismo, tricolori nel cesso, eccetera), che sia una pernacchia o una dignitosa alzata di spalle sarà la sorte a deciderlo. Confido nelle pernacchie.