Monumenti allo spreco

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

Ci sono abbandoni che mettono alla prova una comunità. Perché l’abbandono è ferita non rimarginata, è dolore pulsante. Quelli che Repubblica sta raccontando in questi giorni sono disastri di burocrazia e disattenzione che pesano sulla città e sulla sua capacità di aver cura delle cose pubbliche. Il Diamante di Fondo Patti e il Palazzetto dello sport hanno storie in qualche modo sovrapponibili: inaugurazioni in pompa magna, esistenze brevi, poi, per caso o per disgrazia, qualcosa si inceppa e tutto piomba del più disperato degli abbandoni, quello lento e inesorabile. Come un dissanguamento. “Ormai non c’è niente da rubare”, ha detto ieri un agente della polizia municipale al cronista che vagava per le rovine del Diamante. Una frase che spiega come neanche i ladri sono più interessati a quel cadavere di ferro e cemento. E quando persino il predone si arrende all’evidenza della desolazione, si consolida la strisciante consapevolezza che è davvero finita. E invece no. In ogni caso non c’è da arrendersi giacché questi totem allo spreco di denaro pubblico e al trionfo della sciatteria (che attraversa gli anni e le diverse amministrazioni pubbliche in modo tragicamente simmetrico) non possono rimanere così, esposti nella loro nudità come se nulla fosse. Se proprio non si trova la decenza di ripristinarli, allora – diciamolo chiaramente – è meglio abbatterli: toglierli dalla vista di tutti noi per pudore, per illudersi che la ferita possa finalmente smettere di sanguinare. Serve un’assunzione di responsabilità che al limite porti a una decisione estrema: chiudere un capitolo di dolore indecente ammettendo la sconfitta. E sperando nell’oblio anestetizzante di una città lontana e distratta.  

La politica del fare e la politica del dire

via libertà palermo sporca

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

La distanza tra la politica del fare e la politica del dire si misura col metro. Lo stesso metro col quale si misurano i giardini in abbandono, le ville invase dai rifiuti, le strade sporche, il parco della Favorita morente.
La nuova Palermo di Leoluca Orlando, quella uscita dal tunnel dell’edonismo invisibile di Diego Cammarata, mostra l’illusione di una doppia faccia: da un lato l’impegno per darsi un tono internazionale, dall’altro il disimpegno rispetto alla cura degli spazi comuni. O se preferite: da un lato le candidature a capitale europea della cultura 2019 e a capitale europea dello sport 2017, dall’altro l’inopinata moratoria (come dimostrato dai reportage di Repubblica in questi giorni) della lotta all’incuria.
A Palermo le emergenze hanno condito il piatto della politica che le ha spesso valutate non in termini di gravità oggettiva ma di visibilità. E per paradosso le emergenze più estese e perduranti, quindi visibilissime, sono quelle che pesano meno nell’impatto emozionale dell’amministrazione pubblica. Perché il cuore dell’assessore è assuefatto e non sussulta davanti alle erbacce che soffocano i monumenti, ma rischia un’extrasistole se si fulmina una lampadina alla Zisa Zona Arti Contemporanee. Il che, si capisce, non vuol dire che il Cantiere culturale debba restare al buio, ma che la luce debba vederla anche la villa di piazza Ignazio Florio una volta liberata da cumuli di erbacce e rifiuti. Continua a leggere La politica del fare e la politica del dire

Ai confini della irrealtà

Qualcuno su internet ci crede davvero, perché con questi qui tutto può succedere. Ma la foto della Carlucci con la sciarpa che inneggia alle dimisioni di Berlusconi è un fotomontaggio. Peccato.