Cose di insana passione musicale/2

Ancora Steely Dan, ancora quell’album, Aja, ancora il 1977. Questa è la title track: orecchio al finale.

Cose di insana passione musicale

Sapete della mia sfrenata passione per Donald Fagen e per gli Steely Dan. È (anche) per questo e (anche) perché di musica ultimamente abbiamo parlato poco che mi permetto di iniziare una serie di suggerimenti d’ascolto su questi due geni della musica contemporanea (più Fagen di Becker, a mio modesto parere). Comincio con questa Home at Last (dall’album Aja): sentite quanto jazz, quanta eleganza… E, pensate un po’, siamo nel 1977.

 

Il momento zero dei malati di musica

Come tutti gli appassionati, anzi i malati, di musica ho il mio momento zero. Che non è la canzone più antica che ricordo o il primo motivetto che ho canticchiato, ma l’attimo in cui ascoltando una canzone tutto è cambiato. E’ quell’esperienza unica che si prova quando la musica si impadronisce di te e della tua vita. Da allora in poi se sarai triste, allegro, occupato, pigro, annoiato, iperattivo, radioso, prossimo al suicidio, felice, debole, risoluto, da solo o in compagnia, ci sarà sempre – dico sempre – una colonna sonora tutta tua. Se sarai fortunato troverai con chi condividerla, ma la maggior parte delle volte le uniche compagne di ascolto saranno le tue orecchie.
Io ringrazio il cielo perché il mio momento zero è arrivato presto, a dieci anni. Un pomeriggio, un amico che abitava di fronte casa mia mi telefonò: “C’è una cosa che devi ascoltare”, disse riferendosi a un nuovo ellepì che aveva acquistato, come si usava allora, d’importazione (cioè pagandolo più del dovuto). Io chiesi il permesso ai miei genitori e andai: dovevo solo scendere le scale, attraversare una stradina poco trafficata ed entrare in un portone.
Non lo dimenticherò mai: era un tardo pomeriggio invernale.
Il mio amico mi accolse con una segretezza teatrale e mentre percorrevamo un piccolo corridoio incrociò lo sguardo di sua madre con un lampo di intesa. Era come se avesse concordato con lei qualcosa, prima del mio arrivo.
Una volta dentro la sua stanzetta, lui mi disse: “Questi qui sono troppo forti!”. E brandì la copertina variopinta di un long playing, con una bocca in primo piano.
Poi mise il disco sul piatto e alzò il volume (ecco spiegato il cenno d’intesa con la madre).
E arrivò il mio momento zero.

Il mio errore sugli anni Ottanta

Mi è capitato più volte di polemizzare, qui e altrove, sul valore della musica degli anni Ottanta, di cui evidentemente non sono un estimatore.
Ieri mattina però mi sono reso conto di aver fatto un passo falso, un grande passo falso. Perché il mio iPod mi ha regalato New Frontier di Donald Fagen, e The Nightfly, l’album dal quale la canzone è tratta, è del 1982. Sto parlando del primo lavoro da solista di Fagen, mente degli Steely Dan (quello che inventò un accordo, il Mu maggiore): il primo album interamente registrato in digitale. Sto parlando soprattutto di un capolavoro, che ho assaporato in questi trent’anni senza mai avere segnali di sazietà.
Tra tutte le otto tracce di The Nightfly non ce n’è una sola che non sia eccezionale.
Ecco questo volevo dirvi. Che chiedo scusa ufficialmente ai cultori della musica degli anni Ottanta. L’opera di Donal Fagen riscatta un decennio in cui ci potete infilare qualunque cosa, bella, brutta, solida, liquida, trash, raffinata, duraniana, di new wave, da cantare o da masticare. Il mio errore è stato quello di considerare quest’album fuori dal tempo.
Invece è del 1982.
Viva gli anni Ottanta.