Sunshine

La foto è di Daniela Groppuso

Una gita fuori città.
Vestiti pesanti contro il vento freddo.
La compagnia migliore che ci sia.

Meglio di così?

L’archivio della felicità

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

di Quarant’Ena

Questa è una storia di fantasia o, se volete, no.

Lei: Teresa, 36enne, bella, professionalmente appagata. Lui: Antonio, 35enne, capace di corteggiare come pochi. Non molto bello, ma tanto buono.
I due si incontrarono per caso, a casa di amici comuni. Seguirono e-mail eleganti dai contenuti abbastanza neutri. Una al giorno, poi due, tre. In breve 100-150 a cui si aggiunse una tempesta di sms.
“Buongiorno, se sei sveglia”.
“’Notte, se riposi”.
Ovunque si trovasse, lei rispondeva subito. E ricopiava tutto, nel suo archivio della felicità.
Dopo circa tre mesi lei gli chiese, con determinazione mista a una malcelata vergogna: “Che fa, ci prendiamo un caffè insieme?”
Lui: “Sì, ok”.
Si videro in un bar del centro. Se fu amore non è dato saperlo. So solo che la mia amica Teresa, dopo quel giorno lo incontrò 15 volte. Pranzi fugaci, mai una cena, molti caffè, qualche tè. Solo una volta copularono. Poi niente più, tornarono alla scrittura dei sentimenti.
Lui la rassicurava: “Vederci non è determinante. In questo modo ci tocchiamo l’anima”. Oppure: “Scriverti mi permette di sfiorarti l’anima”.  O ancora: “Le nostre parole ci permettono di adagiarci sull’anima”.
Ogni tanto a Teresa scappava un messaggio del tipo: “Andiamo al cinema?”. Ma lui aveva sempre qualche impegno.
Un giorno, dopo un anno, lei s’impose: “O andiamo al cinema oppure è finita”.
Lui non rispose.
“Sarà occupato”, pensò lei. Aspettò.
“Perché non mi rispondi?”, gli scrisse dopo due giorni di attesa, nonostante il dolore acuto nel pollice destro (un anno di sms pregiudica fortemente la funzionalità delle falangi).
Non ottenendo risposta, glielo chiese più volte finché non si decise a fare un gesto inconsulto: gli telefonò.
Una voce di donna la investì subito: “Puttana! Sei una puttana. Lascia in pace mio marito”.
Lei impiegò pochi minuti per prendere la sua decisione. Raccolse tutto il materiale. Con pazienza, tanta pazienza, cancellò dalla posta il suo nome  e lasciò visibile il numero di telefono di Antonio. Aprì l’archivio della felicità e stampò le circa 6.000 mail e i 10.000 sms raccolti in un anno. Eliminò il proprio nome, ma lasciò quello di Antonio. Corse in tipografia e commissionò un migliaio di copie, non tutte rilegate per via degli alti costi.
La distribuzione del volumetto è ancora in corso nel raggio di un chilometro da casa della coppia felice: dal parrucchiere, dal salumiere, dal meccanico, dal giornalaio… Nulla è lasciato al caso, persino i pazienti del vicino ospedale leggono da qualche giorno le poesie, le frasi, le parole che lui le scriveva.
Bisogna stare attenti a maciullarla, l’anima. Perché quando si risveglia dal coma s’incazza moltissimo.