Un post chiamato desiderio

Sto guardando la serie Prime “Fallout” che ha il pregio di essere ispirata a un videogioco e di non contenere nulla che sia più di uno spunto rispetto a quel videogioco.
Mi sta piacendo perché mi pare ben realizzata, con un buon ritmo di sceneggiatura e una gran cura nella realizzazione delle riprese, delle scenografie e degli effetti speciali.
Però questo è solo l’ambito che mi ha spinto a scrivere: e vi prego di non fare spoiler sulla serie, dato che sono solo al terzo episodio (aggiornamento, ne parliamo qui).

Il vero motivo ispiratore è una frase che uno dei protagonisti pronuncia, che suona pressappoco così: desidereremo le stesse cose quando saremo cambiati?
Mi pare un concetto molto in linea coi tempi e soprattutto coi miei tempi.
Da aspirante vecchio e ridicolo resistente agli acciacchi dell’età non ho una risposta precisa a una domanda così netta.

Desidereremo le stesse cose quando saremo cambiati?

Credo che nasciamo volendo e cresciamo desiderando. Quindi con gli anni attenuiamo le nostre esibite esigenze nei confronti del mondo. Poi però c’è un momento – io ci sono molto vicino – in cui si fa largo una certa intransigenza per cui il mood cambia: vogliamo più di quanto desideriamo.
Occhio alla trappola logico-linguistica. Non nel senso che vogliamo più di quanto abbiamo o ci possiamo permettere, ma nel senso che cambia l’intensità di ciò che vogliamo. Togliamo il freno a mano ai desideri, insomma.
Per tornare alla domanda di cui sopra, è un mutamento di atteggiamento, non di oggetto. Io non desidero le stesse cose che desideravo prima, ma magari desidero cose come le desideravo prima.  

Capite che siamo di fronte a un tema sterminato e anche parecchio interessante: un concetto universale che ci riguarda tutti poiché una delle poche cose alle quali non ci possiamo sottrarre, a patto di rimanere vivi, è il cambiamento.
Pensate all’amore. E a qualche compagno/a di qualche anno/decennio fa: probabilmente non li desideriamo più, ma se non li avessimo desiderati a quel tempo non saremmo in grado di constatare oggi il nostro grado di (non) desiderio.
Pensate al lavoro. Ci si sbatte per cambiare la nostra condizione, il nostro status, il nostro reddito eppure le nostre esigenze sociali economiche magari non sono cambiate.
Pensate alla salute. Una semplice passeggiata diventa una meravigliosa conquista quando cambia un millimetro di un tendine o una semplice cellula dà di matto.

Forse la risposta più realistica alla famosa domanda è in una constatazione: produciamo molte più esigenze di quante ce ne potremmo concedere, più polemiche di quante ne potremmo affrontare, più delusioni di quante ce ne servirebbero, più disattenzione di quanto il mondo intorno a noi meriti.
Adeguarsi per difetto non sarebbe un difetto.