Il callo (e non si parla di piedi)

Albergaria-a-NovaSão João da Madeira

I momenti al ristorante (o in qualche posto in cui si ingurgita cibo prima di svenire per la fame) sono preziosi per tirare le somme di giornate di chilometri e sudore. Appena il mio nobile posteriore fa contatto con la sedia e i miei polpastrelli accarezzano un bicchiere di vino, entro in modalità sociale: accendo l’iPad, mi ricollego col mondo (anzi solo con quella parte che non mi dà disagio, e qui mettiamo un segnalibro per le prossime puntate) e scrivo queste note. E’chiaro che i miei resoconti sono spesso condizionati, se non addirittura ispirati, da ciò che accade in questi momenti di relax.
Per questo vi racconto due minime storie che mi hanno colpito sinora. Le storie di due calli.

La prima a Sernadelo dove ho cenato accanto a una coppia abbastanza giovane: abbastanza giovane rispetto a me quindi fate voi e tenetevi le vostre considerazioni.
Lei gli parlava divertita, lui annuiva sorridendo dietro lo schermo di un cellulare. Io ero dietro di lui e vedevo cosa stava guardando: immondizia di Tik Tok, calcio, Formula 1, filmati di cadute divertenti. Nulla di compromettente. Ma quel che mi ha impressionato è stata la serena perseveranza di lei che continuava a chiacchierare come se si stessero guardando in faccia, come se quel cellulare non esistesse: rideva, parlava, si divertiva insomma.
Ho fatto due considerazioni: o era talmente abituata a interagire in questo modo (da notare che lei non ha mai tirato fuori il suo smartphone) da averci fatto il callo, o si era ritrovata nella inconfessabile consapevolezza di un’alternativa mancante, quindi o così o niente (callo uno). Ci sarebbe una terza via che avrebbe a che fare con la mia visione trasversale ma è bene che me la tenga per me: non sempre tutto ciò che ci è inspiegabile ha una soluzione nelle nostre manie e\o perversioni.

La seconda stasera a São João da Madeira. Ci sono due ristoranti l’uno accanto all’altro e si capisce che non ci sono buoni rapporti tra i proprietari. Entrambi hanno tavoli all’esterno in una deliziosa e tranquilla isola pedonale. La guerra è sul terreno più sanguinoso che mi viene in mente in questo momento di relax: la musica.
Si fanno guerra con la musica diffusa all’esterno.
Ognuno ha la sua colonna sonora. Sospetto che le compilation, come si chiamavano una volta, siano stilate con intento apertamente bellicoso. In questo momento uno spara “Gloria” e l’altro “Lady Marmalade” (comunque canzoni dignitose).
La parte impressionante è quella che riguarda i clienti. Non so voi, ma io rischio di impazzire se due persone mi parlano in contemporanea, figuriamoci se mi si sparano due brani musicali nello stesso momento.
Aggiornamento live, scopro adesso che di fronte c’è una chiesa con campane amplificate che ovviamente ha il diritto di fare la sua parte: quindi la situazione è Tozzi nel canale destro, Labelle nel sinistro, campane al centro. Mi guardo intorno. Tutti cenano e chiacchierano come se niente fosse. L’orgia di suoni tramortisce solo me e questo è un pensiero da mettere nel caricatore per i prossimi giorni.
Perché solo io sono a disagio?
Perché il mondo riesce a godere di una promiscuità multitasking?
Giro a voi i dubbi, con una domanda in più.
Vi è capitato di chiedervi se siete voi ad aver sviluppato un’ipersensibilità o se è il contesto che vi circonda che ha fatto il callo? (callo due)
Intanto indosso i miei auricolari, mi sparo un Prince e porto questo post al suo approdo (vale come un callo tre?).

P.S.
Mentre scrivevo questo post mi è venuta un’immagine in testa. E non era una delle mille foto scattate durante il mio cammino, ma inopinatamente quella di un film che ho adorato: “Il senso della vita” dei Monty Python.
Sarà un pernicioso effetto collaterale del callo.

12 – continua

Tutte le altre puntate le trovate qui.

Il signor Fernando

Sernadelo – Águeda
Águeda – Albergaria-a-Nova

Stamattina la tappa era abbastanza leggera quindi me la sono presa comoda. Ero ad Águeda, una cittadina poco nota lungo il Cammino portoghese che non ha monumenti indimenticabili ma che, ho scoperto, infonde la serenità delle piccole cose di buon gusto. Prima di affrontare la mia dose giornaliera di chilometri ho fatto un giro, seguendo la scia di ombrelli colorati che decorano alcune sue vie suggestive e mi sono informato. Ogni estate in questo posto si svolge uno dei più importanti festival artistici del Portogallo, l’AgitÁgeda. La punta di diamante delle manifestazioni è l’Umbrella Sky Project, un’idea che poi è stata copiata da molte città del mondo. 

Era presto per la mia tabella di marcia (parleremo dei miei orari anarchici perché so che è tema caldo tra chi fa la mia stessa esperienza) e ho deciso di investire il mio tempo nella maniera meno consueta per un camminatore seriale e compulsivo. Mi sono seduto su una panchina e ho lanciato un brano a caso della mia playlist “Passi felici” – la trovate sul mio account di Apple Music. Mentre ascoltavo questa canzone mi sono guardato intorno con l’inusuale filtro della semplicità: del resto ero lì, solo, con uno zaino che racchiudeva la mia vita, avevo tutto quello che serve (riserva d’acqua, pancia piena, scarpe ben allacciate, pensieri sguinzagliati). Sul lungofiume in cui mi trovavo c’erano decine di ragazzini, accompagnati da maestre o chessò impiegate comunali, che si divertivano e sudavano nel parco giochi lindo e perfettamente funzionante. Un papà con passeggino faceva giocare il suo cane con una palla, mostrando di amministrare con gioia i suoi affetti a due, quattro zampe/ruote. Intorno tutto abbastanza pulito, ma di un pulito, come dire?, non clamoroso. Che se ci pensate bene, per noi abituati al lerciume di ordinanza è impressionante. Perché è facile lasciarsi incantare dalla pulizia svizzera o altoatesina, per fare due esempi banali, ma trovare una efficienza discreta laddove magari una cicca o qualche bottiglia fa capolino – il mio caso portoghese – è di maggiore effetto. Perché ti fa capire che una città accettabilmente pulita, seppur coi suoi limiti e le sue eccezioni, ti libera dall’illusione della fantascienza.
Mi pare un concetto basilare che tira in ballo la responsabilità comune. Sino a quando non capiremo che le sorti di una comunità non sono soltanto nelle mani dei nostri amministratori, ma soprattutto nelle nostre, nel nostro senso civico, nella quota di responsabilità che dobbiamo brandire non appena varchiamo la soglia di casa, non avremo speranza alcuna.
Ok, fine del pippone. Ogni tanto mi faccio prendere da fremiti che interferiscono con una strisciante andropausa civile (non si può stare in trincea per sempre, le retroguardie in fondo possono essere posti in cui è bello svernare, e non sono in Cammino per caso…).

Comunque, a proposito di prendersela comoda. A fine cammino oggi, a dispetto delle good vibrations della partenza, approdai in una specie di hotel poco al di sotto del rango di topaia: ci ho messo cinque minuti per entrare nell’antro a me assegnato, scacciare una decina di mosche e insetti vari, individuare un pelo sul cuscino, incuriosirmi per una macchia sull’asciugamani (sarà bruciatura di sigaretta o residuo organico?), mandare affanculo il capo-topaia e chiamare un taxi.
“Dove andiamo?”, ha chiesto il signor Fernando, orgoglioso di portare un nome italiano.
“Vada a Nord che tra poco le dico”.
Nel giro di pochi chilometri (come scorrono veloci quando si è su ruote, minchia!) ho trovato al volo un fantastico hotel abbastanza distante dal Cammino: una grave violazione nella mia ortodossia dato che non mi allontano mai – tantopiù in taxi! – dal percorso. Trovato rimedio all’emergenza, trovato rimedio al rimedio dell’emergenza. In due modi.
Il primo. Domani mattina il signor Fernando mi viene a riprendere e mi riallinea all’itinerario.
Il secondo me lo sono dimenticato mentre entravo nella Jacuzzi.

11 – continua

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