L’erotica di Onfray? In alto, a sinistra

Del ciuffo volitivo di Michel Onfray si è accorto anche Pierluigi Panza, che sull’ultimo Style del Corriere della Sera intervista la star del pensiero individualista libertario.
Onfray si aggiudica una bellissima copertina (foto di profilo, sguardo al più o meno infinito, come si conviene ad un vero filosofo) e risponde con fascino e saggia pacatezza alle domande. Si definisce un “libertino” ma nel senso etimologico del termine, ossia un “liberato”, e dunque non un donnaiolo. Definisce gli uomini di potere dei bambini patetici, smonta i filosofi accademici, e vede le relazioni amorose in “luce post cristiana libera dagli obblighi di associare sessualità, fedeltà, matrimonio, procreazione e coabitazione”.
La sua massima di vita? , gli chiede Panza. “Crearsi libertà”, risponde lui, citando Nietzsche.
Davvero non male, dico a me stessa.
Poi mi ricordo che fine ha fatto “Teoria del corpo amoroso” nella mia libreria. E’ nel reparto “cestinati di rispetto”. Sta in alto a sinistra, insieme ad altri saggi che ho comprato con un entusiasmo quantomeno pari alla delusione provata a fine lettura.
Mi spiego. Onfray può interessare per la sua erotica decolpevolizzata. Non è poco nella nostra era dove si pensa di essere splendidamente laici sol perché si guarda con interesse ai rapporti flessibili, per poi scadere ogni giorno nella trappola del buonismo di coppia.
Solo che a forza di ricondurre il desiderio a pura fisiologia, come vorrebbe Democrito, la passione a “pure energie misurabili”, a forza di ridurre il desiderio dell’altro a pura brama eiaculatoria, Onfray finisce per compromettersi.
Nella sua “Teoria” il filosofo costruisce una rete di paragoni zoologici. Dalla sogliola, pesce alla perenne ricerca della sua metà- che brutta cosa, ci dice Onfray, roba da platonici precristiani- al porco epicureo che invece copula senza colpa, passando per lo sfortunato elefante monogamo e dalla jena, quella si, bestia attivissima, e approdando all’istrice celibe e all’elogio della sterilità.
Sappiamo che non sempre il desiderio si placa dentro la coppia, e forse è vero che spesso il ritorno ad un sano individualismo aiuta a rivalutare l’altro. Ma a forza di desacralizzare, Onfray dimentica che esiste una bella differenza tra l’onanista e l’innamorato. Onfray critica i feroci dualismi imposti dal cristianesimo (o angeli o peccatori), ma cade anche lui nella stessa trappola imboccando una strada parallela e speculare che non offre via d’uscita se non nella solitudine.
Stupisce anche che si professi un anti misogino. Uno che sostituisce l’Afrodite alata con la Venere fallica, delle signore ha capito ben poco.
In quanto alle sogliole dalle mie parti costano un tanto al chilo. Fritte sono buonissime. Altro che pesci da buttare via.

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Democrazia

Sapevo che non c’erano speranze, ma sono andato a votare lo stesso. È un vecchio tic quello di stare dalla parte dei perdenti. Al liceo tifavo per i troiani. Mi piaceva Ettore. Chi soccombe – ritenevo allora e non ho cambiato idea – almeno conserva un barlume di umanità. Niente a che vedere con la spocchia di Achille che vinceva tutte le sfide come la Juventus di Platini. Bella forza: erano entrambi immortali. Dunque sono andato a votare per questo centronistra comatoso che presentava una persona in gamba alle Provinciali, contro un apparato nucleare di preferenze. Mi sono incamminato per la strada verso la «gabina», lunedì mattina. Lo scenario era lo stesso di sempre, come un presepe che rassicura l’animo del suo costruttore ad ogni Natale. C’era il vigile con la camicia sbottonata. C’era il carabiniere che pareva uscito dalle illustrazioni di un Pinocchio minore. C’era l’attivista dell’opposizione, con un ventaglio di sguardi malinconici: i celebri sguardi depresso-comunisti che fanno perdere dieci-venti voti, solo incrociandoli. C’erano gli occhiuti pesci medi della maggioranza, convenuti per proteggere le pinne dei pesci grossi. Il sorriso che sfoggiavano aveva davvero un altro calibro.
Ho attraversato il corridoio di una scuola media. «Però che bella cosa la democrazia», pensavo. E canticchiavo tra me e me una vecchia strofa di Gaber sulle elezioni. Al mio seggio non c’era nessuno. Per la verità: nessuno nemmeno altrove. Noncurante e rammentando l’eroismo ben maggiore di Ettore, figlio di Priamo, sono entrato nella stanza che simboleggiava la mia potestà di cittadino nell’atto di esercitare il sacro e laico diritto di voto. C’era una donna con le lenti a contatto che somministrava segni fragili a una sghemba lavagna. C’era uno scrutatore pettinato come Mal, o forse come Furia cavallo del West. E c’era un vecchietto accoccolato su una sedia, il presidente di tutta la baracca, secondo indicazione dei presenti. E che faceva il signor presidente al cospetto di un rappresentante popolo sovrano? Russava.

Le cosacce non vogliono pensieri

Proprio bello non è, sarebbe una forzatura definirlo così. Il fascino, poi, non sa neppure cosa sia.
Belloccio forse sì, diciamo uno che poteva piacere alle nostre mamme. Uno con il sedere alto e sodo, un bel sorriso, lineamenti regolari, spalle larghe, capelli ondulati anni Cinquanta, labbra carnose. Uno che “fa sangue”.
Solo che Matteo dovrebbe tenere sempre la bocca chiusa perché ignora molte, troppe regole. Quelle della lingua italiana, prima di tutto, ma anche quelle del bon ton, del vestire, dello stare a tavola (una volta al ristorante ha fatto la scarpetta nel mio piatto), del trattare con le signore. Meglio non fargli mai domande di storia, perché Matteo è convinto che la guerra fredda sia finita con la sconfitta di Waterloo, in mezzo alla neve, dove poi morì Napoleone.
Matteo è un inguaribile tamarro che ripete la parola “sesso” come fosse un mantra, come fosse la soluzione a tutti i mali. Non è di cervello fino, è ingenuo, forse un po’ bambino. E’un brav’uomo però, e certe volte con lui riesci a farti quattro risate. Fa sempre la spesa all’Auchan e vista la sua insana passione per le donne, sua moglie dev’essere una santa.
Giovanna, no. Giovanna è un’altra cosa.
E’decisamente una bella donna. Decisamente colta, decisamente ricca, decisamente griffata, decisamente intelligente, bon ton e forse un pochino antipatica. Ossuta ma leggiadra, ironica ma anche acida, se serve. La spesa gliela fa la domestica, mauriziana. Suo marito è un professionista, di grido. Giovanna non direbbe mai “sesso”, tutt’al più “cosacce”. Nient’altro da aggiungere.
Matteo e Giovanna lavorano nello stesso ufficio, seppure con mansioni diverse. Sono come l’alfa e l’omega, il Viagra e la tisana Pompadour. Certo, hanno qualcosa in comune. Entrambi sono sposati. Entrambi non si sognerebbero neppure di andare ad una festicciola aziendale senza il coniuge, perché “non sta bene”. Entrambi si punzecchiano di continuo, si odiano cordialmente da anni, e non è raro sentire lui sparlare delle ossessive manie di lei, e lei ridacchiare dei congiuntivi mancati di lui.
Ebbene, signori, da poco ho scoperto che i due si muovono in sintonia.
Come si dice dalle vostre parti? Fiancheggiano, furoreggiano. Insomma, scopano.
Non so da quanto tempo, ma è così. Ne ho le prove.
Per me, che conosco bene entrambi, è come avere scoperto che esistono gli extraterrestri, che gli asini volano o che Babbo Natale è in realtà un pedofilo incallito.
E’ lei che mi stupisce di più. Mentre Matteo non ha mai nascosto di apprezzare oltremodo il gentil sesso in tutte le sue pregevoli varianti, Giovanna è una snob senza pari, una che nega il saluto a chiunque non abbia almeno una laurea e una degustazione di vini alla settimana. E di Matteo continua a parlare malissimo davanti la macchinetta del caffè.
Ho riflettuto e credo che la soluzione al dilemma sia semplice semplice.
Eh no, non siate romantici, non dite che “al cuore non si comanda”, per favore.
Credo che il meccanismo oscuro sia molto, molto più banale.
La soluzione sta in un detto napoletano che dice ‘O cazzo, non vuole pensieri.
E questo Giovanna lo avrà letto in uno dei suoi bei libri in primissima edizione. Letto, sottoscritto e approvato.
Alla faccia del radical chic, delle buone maniere e dei congiuntivi. O no?

Soundtrack

Falcone, la memoria buona e quella cattiva

Quando Roberto Puglisi mi ha inviato questo articolo, gli ho chiesto tre righe di dati biografici. E non perché non lo conoscessi – abbiamo lavorato insieme per anni – quanto perché non volevo fare un torto alla sua strampalata, e quindi affascinante, capacità di sintesi. Ecco come si presenta a quanti tra voi non lo conoscono ancora.
Roberto Puglisi, 37 anni, giornalista precario
Difetti: collerico, mangione, romanista
Pregi: (vedi alla voce difetti).
Tre righe ho chiesto, tre me ne ha mandate.
Buona lettura.

di Roberto Puglisi

C’è un’immagine che mi è rimasta nella retina per ore, dopo l’esplosione di sentimenti, retorica e buoni propositi, inesorabilmente spalmata lungo il sedicesimo anno della ”Falconeide” (nome in gergo con cui i giornalisti, tra di loro e senza farsi sentire, indicano il rito del ricordo dell’eccidio di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani). L’ho messa a fuoco soltanto ieri, dopo giorni di ombre e presentimenti. Eccola: la macchina del papavero americano invitato per il convegno del 23 maggio all’Ucciardone entra sgommando nell’atrio del carcere. Un agente di scorta sgombra lo spazio e quasi strattona un distinto signore con gli occhiali che si trova in mezzo alla baraonda. Quel signore si chiama Giuseppe Di Lello (nella foto), componente del pool antimafia, collega di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E’ una metafora che offre perfino troppa grazia di argomenti, nella sua evidenza. E’ il quadro esatto della situazione. La nuova memoria scaccia via la vecchia e non ci sarebbe nulla di male, se non fosse per un particolare: è la vecchia memoria che rammenda la stoffa degli eventi, semplicemente perchè appartiene a chi c’era. La nuova è un codice stabilito per comodità, per non dare troppo fastidio. Finisce ossessivamente e non casualmente per dimenticare le parole dette contro Giovanni Falcone, quando era in vita. Dimentica i complotti e i veleni contro Paolo Borsellino. Dimentica l’articolo del noto giornalista Lino Jannuzzi che si preoccupava moltissimo di Falcone e De Gennaro. Infatti lo scrisse: con quei due a Roma – si parlava, se non erro, di Superprocura – sarà meglio tenere a portata di mano il passaporto. Dimentica i pezzi del ”Giornale di Sicilia” sull’inopportunità del maxiprocesso. Dimentica che pure l’ottimo Sandro Viola di ”Repubblica” accusò Falcone di protagonismo. Questo, in sintesi, per tralasciare Il Corvo, la nomina di Meli e tutta la marcia tappezzeria che ben conosciamo. Sì, quel gesto screanzato, quel ”Ragazzo, fatti più in là” ai danni di uno che c’era, con la sua umile uniforme di uomo onesto, è la quintessenza della melassa che affoga il rigore del tributo sincero.
Vai via Di Lello, largo ai giovani e agli smemorati.

Il Ponte secondo Bufalino

La società Ponte sullo Stretto fa sapere al premuroso ministro Matteoli di essere pronta a far partire i lavori per la mega struttura in ferro e acciaio che dovrebbe collegare la Sicilia all’Italia: entro un anno via ai cantieri. Non so che ne pensate del Ponte, ricordo però quasi a memoria l’articolo che Gesualdo Bufalino scrisse il 19 settembre 1985 su la Repubblica. Lo trovate qui sotto: provate a individuare le differenze tra ieri e oggi.

Il ponte sullo Stretto? Personalmente mi sta benissimo, a patto di non sovrapporre metafore e simboli indebiti ad una operazione di semplice ingegneria. Voglio dire che non sarà il guadagno tecnico di poche ore nei tempi di traghettamento a modificare o a guarire la nostra vocazione claustrofila e il vizio di fare della solitudine un trono e una tana. Caso mai sono altre le conseguenze che l’ evento (se accadrà) si porterà dietro: di favorire lo smercio e la circolazione dei nostri vizi nel resto della penisola; e di aizzare le nostre virtù a degradarsi più velocemente nell’ omologia generale dei contegni e dei sentimenti. Poichè con le isole il punto è questo: sono di per sè parchi naturali e riserve dove lo “specifico” indigeno resiste più a lungo: sicchè rimane sempre da sciogliere il nodo se convenga tutelarle a costo di sequestrarne anche le più selvagge memorie, o spingerle verso una moderna ma ripetitiva e anonima identità. Insomma è la solita solfa del contenzioso tra passato e futuro, natura e cultura, lucciole del pre-industriale e chimiche del post-industriale… Il ponte ovviamente giocherà a vantaggio di questa seconda ipotesi, benchè non molto più, credo, di quanto abbiano già fatto l’ Alitalia e l’ Autostrada del Sole. Resta da vedere se e come esso possa contribuire a renderci più italiani. Qualcuno dubita che non lo siamo abbastanza o che desideriamo non esserlo più. Proprio su la Repubblica (31 agosto) Arbasino ci attribuiva una smania di staccarci dalla nazione e ce ne concedeva licenza. Obietto che, dai tempi di Salvatore Giuliano, fra le maschere sanguinose della mafia il fantasma del separatismo non è più ricomparso: e che oggi un eventuale referendum secessionista non raccoglierebbe in Sicilia più di mille o duemila suffragi… La verità è che fanatismo regionale e fermenti antiunitari sono da noi assai meno vigorosi e loquaci che non in tanti altri luoghi d’ Italia, dall’ Alto Adige alla Sardegna, dal Veneto alla Val d’ Aosta. Basterebbe, per appurarlo, una gitarella a Messina… Con tutto ciò, come negare l’ esistenza del tumore Sicilia e delle sue minacciose metastasi d’ esportazione? E’ un morbo vecchio di secoli, ma non saranno nè la segregazione nè l’ aggregazione a salvarcene: nè una chirurgia che ci amputi, nè un ponte che ci concilii. Occorrono cure diverse, e io dico timidamente: libri e acqua, libri e strade, libri e case, libri e occupazione. Libri.

Gesualdo Bufalino

Un post al sole

Palermo 2038

Il primo ad arrivare è il Cacciatorino. Non sono neanche le sette e trenta del mattino e si è già incazzato otto volte: inveisce contro Bush IV e la regolamentazione dell’antropofagia nelle regioni a statuto speciale. Ha settant’anni, vive con la moglie e una madre di 176 anni che beve Coca Cola, compra occhiali da sole come se fosse adolescente ed ha un blog con milioni di contatti al giorno. Il Cacciatorino passa le sue giornate seduto qui, nel bar “By Geryyy” , un ex giornalista, ex scrittore, ex maratoneta, ex fumatore, ex cuoco, ex enciclopedico dell’insulto gratuito che ha messo questo nome al locale per battere il record mondiale di ipsilon. Di lui si racconta che a 45 anni si dimise dal giornale dove lavorava e guadagnava bene per vivere di stenti, chinotto e fantasia (più chinotto, a dire il vero). Nessuno ci crede, ma quando si siede ai tavoli e racconta con dovizia di particolari della sua lettera di dimissioni, i giovani sghignazzano. Lui, che è quasi cieco, crede che siano risate d’approvazione ed è felice.

Alle otto giunge, “Abbatt”. E’ una donna senza un’identità precisa. Un giorno si fa chiamare “abbattiamo i termosifoni”, un giorno “abbattiamo i mesi caldi”, un altro “abbattiamo il muro”. Di certo ce l’ha col caldo. Si siede accanto al Cacciatorino e insieme ordinano il quindicesimo caffè della giornata. Gli altri arrivano alla spicciolata.

Sta arrivando.. il passo è lento, la protesi al ginocchio lo costringe a fermarsi ogni cinque passi. Doveva essere un bell’uomo questo Roberto Torta, detto “il Presidente”. Ogni giorno la solita solfa: “Sono io il Presidente della Regione”. Anni fa, eludendo la sorveglianza irruppe nella sala gialla di Palazzo dei Normanni e iniziò a urlare: “Sicilianiii!! Sono io il vostro Presidente. Sono io!”. Lo internarono per cinque anni. Fa sempre la corte a Jana, la splendida signora che con fare felino, la voce sensuale e tacchi vertiginosi si unisce alla compagnia. Ha anche lei la sua età, ma le cosce marmoree non la tradiscono mai. Ogni giorno viene in questo bar e ricorda a Gery la sua affinità elettiva. Ma Gery da quest’orecchio – e anche dall’altro, vista l’età – non ci sente.
Ecco Rocco Siffredi. Ancora bello come il sole. Ha aperto una scuola professionale dove insegna come fare una lunga, lunghissima carriera. E’ miliardario, continua ad andare su e giù, giù e su: Roma – Palermo, Palermo – Roma. E non dimentica gli amici, anzi viene sempre più spesso…
Preceduta da un profumo, che manco Padre Pio, arriva Verbena che nel frattempo ha aperto un supermercato di cioccolato, nel senso che tutto, dai carrelli alle casse è fatto del dolce commestibile. Lei adesso è una donna appagata. Ha ritrovato tutti i protagonisti – fino alla settima generazione – della trilogia del sesso perduto: zucchine, colleghi normodotati e trombamici.
Piano piano il bar si sta riempendo. Ecco Iko, Lesandro, la Contessa, Matt, Ste, Ro, Ultraman, Cinema and cigarettes (che ha osato taroccare l’immagine del Beato Schifani e poi si è reso conto che l’originale è molto meglio).
 Si siedono tutti.
Arriva Gery, fresco di pannolone nuovo, prende la sua sedia a dondolo e raggiunge gli amici. Lui, illuminato e riscaldato dal sole, ha un “post” a parte.
“Allora… ci siete? Oggi parliamo di come friggere l’aria senz’olio”. 
Jana sospira: “Dio mio, quanto è bravo ‘sto Gery!”

Elogio della pralina

Lo so che parlare di cioccolato va di moda.
Sarà stata colpa del film con la Binoche e Jonnhy Depp, e di quei fiumi di crema scura che scivolavano dappertutto.
Solo che io il cioccolato lo adoro davvero e, quel che è peggio, lo divoro.
Di più: lo sogno, lo studio, lo cucino. Anzi, lo modello.
Perché, diciamolo chiaramente, esiste forse un piacere dei sensi più forte che manipolare una materia tiepida e burrosa, mescolarla ad aromi, congiungerla ad altre identità nobili (le nocciole, i chicchi di caffè, la frutta secca, la frutta fresca) sentirne gli effluvi intensi ma mai troppo dolciastri, e poi affidarla alla saggezza dello stampo o all’improvvisazione delle dita?
Sì, esiste, so a cosa state pensando. Ma il distacco tra i due brividi è breve, molto breve. Almeno per me.
Sappiate pure che v’è una corrispondenza sottile tra la nostra vita e quella di una pralina.
Non ridete. Sto per rivelarvi un segreto.
Prendete il tartufo. E’ un cioccolatino facile ma di classe. Ha un cuore morbido che richiama una nota di rhum (fragile, mai impertinente, se fosse musica un si bemolle) su una base di cioccolato nero, il più nero che si può. I francesi la chiamano ganache. La copertura invece è decisa: fondente, croccante. Importantissimo che crocchi, altrimenti significa che il cioccolato non è stato ben temperato, ossia non lavorato alla giusta temperatura. E questo ucciderebbe il tartufo. Sarebbe come commettere un peccato grave a cui, ahimè, siamo oramai abituati: la pigrizia, l’accidiosa abitudine alle vie brevi, agli odiosi quattro salti in padella, alle discussioni via sms, al sesso veloce e sfuggente.
E’ la dedizione, il segreto: più la copertura si lavora, con la lama, sulla base di marmo, ai gradi giusti, più il guscio risulterà vigoroso, degno custode di un ripieno saporito. Solidità e tenerezza, disciplina e riposo.
Poi c’è il Boero. Pensate sia impossibile farlo in casa? Sorrido, superba. Perché si può. Basta scegliere bene liquore e amarena, con la stessa saggezza di una paziente massaia. I Boero riempiono la bocca e ti lasciano appena la voglia di un altro Boero. Ma poi di null’altro, soprattutto, di nessun’ altra pralina. E’ il senso di soddisfazione e di sazietà che la vita ancora ci sa offrire alla fine di una giornata in cui si è goduto, sofferto, gridato, sospirato e consegnato se stessi al tempo sbruffone che passa.
Infine, il classico, intramontabile quadrato. Un pezzo di tavoletta, senza tanti fronzoli.
Profumo, lucentezza, morso, crac, croc. E poi scioglievolezza, e poi saliva nera, grumo di piacere, deglutizione, sorriso. Ritorno alla materia tiepida e burrosa dell’inizio.
Perché polvere eri e polvere tornerai.
Cameriere, cioccolato per tutti. Offre Verbena.

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Trilogia del sesso perduto/3

Il trombamico

Milko prende il sole con oculatezza. Dice che potrebbe rovinargli la pelle e per questo usa una cremina for men filtro quindici, ogni giorno. Milko veste solo camicie sagomate, stile Seventy, si depila il torace e adora indossare i braccialetti. Non è forse un maestro di stile, ma è decisamente un gran bell’uomo. Ha pure una moglie attraente e al suo passaggio le ragazzine si voltano a guardarlo. Sembra un tronista. Solo, meno abbronzato.
Milko fa un lavoro serio, che richiede prestanza fisica. E per via del mio, di lavoro, mi tocca stargli accanto per molte ore al giorno. Tra noi non c’è mai stato un feeling particolare. In quattro anni che ci conosciamo mai una chiacchierata vera, solo due battute, ogni tanto.
Meno di un mese fa, riaccompagnandomi in auto al parcheggio, Milko mi ha esposto la tesi del “trombamico” invitandomi a metterla in pratica. Con lui.
Funziona così: se dovessi avere voglia di fare sesso disimpegnato, gioioso, discreto e di ottimo livello, non mi resterebbe che chiamarlo. Milko sostiene di essere stato, e di essere ancora, il rifugio di parecchie amiche, anche di amiche della moglie. Anche la moglie, a sua volta, era una sua “trombamica”, poi trasformatasi in altro, per via del destino cinico e baro.
Della teoria del “trombamico” – che circola anche sul web- secondo Milko, esistono due varianti di base: quella che prevede un’attività coordinata e continuativa, gestita tramite sms, e quella saltuaria, occasionale, ma altrettanto soddisfacente.
Parlava e parlava Milko (io stavo seduta nel sedile posteriore dell’auto), e descriveva certe sue performance consumate in camere ad ore, studiava le mie reazioni sbirciando dallo specchietto.
Io ascoltavo con piglio interessato, come quando memorizzo per bene le prescrizioni del ginecologo. Così lui ha continuato, spiegando che mi potevo anche rifiutare, lì per lì, ma che l’offerta era da considerarsi a lungo termine. “Considerala valida, anche per molto tempo se ritieni. Pure se non ci dovessimo vedere per anni. Se avrai bisogno di un trombamico, io sarò lì”.
Silenziosa pausa di riflessione, sua.
“Devi solo fare una piccola verifica, se però passa troppo tempo…”, aggiunge.
A questo punto si fa serio, un po’ imbarazzato. Sono troppo curiosa, rompo il silenzio.
“E quale sarebbe, di grazia?”, gli chiedo.
“E’ semplice”, si rianima lui, finalmente certo di essere stato seguito e compreso, nonostante il soliloquio dell’ultimo quarto d’ora.
“Basta che ti guardi allo specchio. Se tutto sarà come adesso, dalla testa in giù, allora l’offerta sarà sempre valida”.
Altra pausa. Altra frase impacciata, espressione quasi drammatica sul viso ben idratato: “Sai, la carne flaccida, non mi piace”.
Su “carne flaccida” non ho retto. E ho reagito come sempre in questi casi: con una risata crassa, dirompente, persino mascolina, che Milko deve avere interpretato a modo suo. Così ha fatto di più. A qualche metro di distanza dal parcheggio ha rallentato. “Facciamo un gioco”, mi dice, mentre mi mostra un sorriso a trentadue denti, bianchissimo. “Adesso scendi, ma poco prima di chiudere la portiera mi guardi negli occhi e mi fai un cenno con la testa: un si, o un no”.
Esco dall’auto lentamente. Giù la prima gamba, giù la seconda, sorrido, lo guardo, e faccio oscillare la mia testolina da destra verso sinistra. Poi da sinistra verso destra.
“E perché?”, mi fa lui, deluso.
“La cellulite ha già fatto il suo corso”, rispondo io, becera.
Mi volto e ancheggio con maestria. Perché so che lui sta guardando. Proprio lì.
(soundtrack)

Le voci del web

Ecco, come annunciato, il parere sulle elezioni di una pattuglia scelta di blogger. Buona lettura.

Cose loro (in salsa verde)
di Fuoritempo
MAFIOPOLI. Netta affermazione elettorale per il Partito della Libertà Vigilata e per i suoi alleati da riporto. Alta la percentuale di affiliati al voto, poche le lupare bianche, praticamente assenti quelle contestate. Hanno votato regolarmente anche le famigghie residenti all’estero.
Orgogliosi i figli di primo e secondo letto del nuovo premier: “Nostro padre? Un eroe!”

La musica giusta
di Nicolò La Rocca
La Russa dice a Storace: tu pensi che la Destra possa essere solo il tuo 0,8 %? No, è al 10 % ed è tutta dentro il PDL. Ecco, l’ha detto lui. Io mi sto attrezzando. Ho cominciato a scaricare musica adeguata: Sandro Giacobbe, Gigi D’Alessio, Drupi. Per non sentirmi diverso. Una volta avrei detto Baglioni. Oggi le cose sono quelle che sono e si deve arrivare fino a Gigi D’Alessio.
La verità non è mai esistita. Adesso è scomparsa perfino la realtà: Schifani ha detto che gli italiani hanno premiato la novità.
Un commentatore, un politico di destra, ha detto che finalmente si è creato un clima di “garbo”. Emilo Fede ha ricordato che la sinistra voleva eliminare la Pattuglia acrobatica. Non era garbata, come scelta.
Mario Giordano dice che gli intellettuali sono lontani dalla pancia del Paese. Le donne del PDL sono tutte carine e ben vestite. E scommetto che hanno tutte il pancino sodo. Così garbate, così nuove, odorano di formalina. Il garbo delle pance fatte di formalina e la novità della Pattuglia acrobatica.
Le uniche cose sensate le ha dette Salvatore Borsellino: ci ha ricordato che non bisognava legittimare Berlusconi. È stato il più grande errore. E invece con garbo e sguazzando nella formalina gli italiani si sono convinti definitivamente che sia veramente uno statista. Del resto con Gigi D’Alessio nelle cuffie è facile pensarlo.

R.S.V.P.
di Salvo Toscano
1. Politica e tempo libero
Per Bertinotti è un trionfo, direi. Se, come pare, la Sinistra Arcobaleno resterà addirittura fuori dal Parlamento, MarcoRizzo, Pecoraio Ascanio e soci avranno un sacco di tempo in più per andare ai cortei (anche se non più contro il proprio governo, ma non si può avere tutto dalla vita).
2. Riposizionamenti
Il sottoscritto apre il tesseramento alla sezione Gianfranco Miglio di Palermo. E’ gradita la camica verde.

Walter, campagna mogia
di Tony Siino
Mogia, come lo slogan ri-scaldato di Obama; così è stata la campagna di Walter Veltroni. Impossibile per lui battere Berlusconi, premier dalle tante ombre ma grande comunicatore e, tutto sommato, più propositivo e “vincente”. La vittoria è netta e la notte di incubi di due anni fa si è trasformata in crudissima realtà per gli elettori di sinistra. Vedo nell’esclusione della sinistra estrema un pericolo poiché l’assenza di rappresentanza potrebbe lasciare spazio ai violenti presenti in quell’area.
In Sicilia Palermo è destinata a declinare, con un asse di potere e di investimenti che si sposta verso la Sicilia orientale. Avrei preferito un presidente più giovane e meno legato a logiche democristiane, vedremo che cosa saprà fare.

Offro ospitalità
di Lesandro
Tornata elettorale da paura, non c’è che dire. Nel senso che gli italiani tutti hanno avuto paura. Se la sono fatta sotto. Hanno avuto paura i sostenitori del non voto, a giudicare dall’affluenza registrata. Ma anche chi era per il voto ha avuto paura. Paura del ‘voto inutile’, nuova icona della politica italiana e di questo sistema elettorale bacato. Risultato: la sinistra italiana non esiste più. La destra sociale nemmeno. Per i prossimi cinque anni, Berlusconi e Bossi potranno fare a pezzi il paese in tutta tranquillità, benedetti dal papa, dagli italiani nonchè, ovviamente, da Veltroni. Dunque, vediamo. Io a casa mia posso ospitare altre tre persone. Quattro se ci stringiamo un po’ come fanno gli extracomunitari in Italia. Chi di voi decidesse di emigrare, mi contatti pure. E non dimenticate la carte da poker, chè noi italiani siamo bravissimi a mettercelo nel culo a vicenda, è il nostro sport preferito.

Blade Silvio -Tempio di Arcore 2018
di Salvatore Mangione
Un fedele servitore fa da cicerone a dei turisti venuti da ogni parte del pianeta terra:
“Io ne ho viste cose che voi stranieri non potreste immaginarvi. Coalizioni da combattimento in fiamme al largo delle sezioni di partito. E ho visto i raggi Mediaset balenare nel buio vicino alle porte delle case degli italiani. E tutti quei… momenti andranno perduti… nel tempo… come… champagne… nella Milano da bere. È tempo di sparire… adesso consigli per gli acquisti”.
(L’elaborazione grafica è sua. g.p.)

Buonanotte Italia
di Lawrence d’Arabia
Buonanotte Italia! Tra le televisioni di Berlusconi, il fascismo di Fini e della Mussolini, i conclamati legami mafiosi di Lombardo ed i fucili di Bossi, possiamo dormire sonni tranquilli.
D’altronde, com’è giusto che sia in ogni regime democratico i rappresentanti politici sono lo specchio del Paese. Nel nostro caso sono la caricatura di un paesello sempre più egoista e superficiale che tuttavia, per fortuna, ogni tanto sa offrire anche insperati spunti di brillantezza. E dunque, dall’altra parte, resta la speranza che il centrodestra, qualcosa di buono possa farla: Renato Brunetta, Franco Frattini e Gianni Letta non saranno apprezzabili, ma almeno hanno solide ed indiscutibili competenze. Tuttavia, al pensiero di La Russa ministro della difesa, Calderoli della giustizia e Maroni del nord-est, ci si accappona la pelle. Vedremo mai l’alba?

La terra dei cachi

di BitLit
Andrés Ortega è un giornalista di El Pais che ha scritto molti saggi sull’integrazione europea. E’ lui che firma l’apertura del quotidiano spagnolo on line. Titolo: “Come è possibile?”
Scrive che siamo di fronte alla “corrupción personificada en el corazón del estrado” e descrive il nuovo capo del Governo come un “personaje muy vulgar “. Il New York Times ci dipinge pessimisti, Le Monde immagina che Berlusconi possa essere costretto ad allearsi con Veltroni per rimediare un eventuale “buco” al Senato. Ma non ci crede poi così tanto. Ci vedono malati, allucinati, ignoranti.
Potrei scrivere a questi editorialisti. E raccontare che a Catania c’è un paesino di 3.300 abitanti che si chiama San Cono. E’ l’unico comune che ha votato compatto per il Pd, almeno alle nazionali. E’ la patria dei fichidindia. Un amico mi ha inviato un sms: “Chiediamo asilo politico a questo sindaco”. E io gli ho risposto: “Macché! Ti sei scordato che viviamo nella terra dei cachi?”.

Il gabbiano
di Antonio Consoli
In tre, quattro righe non è facile condensare la giornata odierna. E infatti non ci riuscirò. L’esito elettorale odierno era largamente atteso da mesi. Nessuno stupore, né a livello nazionale, né a livello siciliano. Per un Berlusconi che adesso dovrà dare il braccetto a Bossi (oltre che un ministero, indicato sarebbe quello delle riforme), resta a noi siciliani un leader del centro-sinistra, Anna Finocchiaro, che andrà a rappresentare l’Emilia al Senato. Il PD siciliano potrà così tornare nelle sue stanze, al riparo da un popolo che da tempo non capisce, mentre Raffaele Lombardo (vecchia volpe democristiana) pregusta già la pioggia di miliardi proveniente dall’Unione Europea, tenacemente aggrappato alle preziose agende (sue e dei suoi collaboratori) che da anni riempie di nomi, cognomi e indirizzi. Nomi, cognomi e indirizzi di gente che in questo fine settimana è andata disciplinatamente a votare un simbolo con un gabbiano e un progetto non meglio specificato, se non per quella storia del ponte e dei presunti benefici di un’autonomia di stampo… siciliano.

Forse domani
di Nerone
Noi, gente di sinistra, abbiamo ucciso la sinistra. Io stesso, in prima persona.
Nel giro di poche ore, sono scomparse dal Parlamento della Repubblica, le forze che più esplicitamente e senza rimorsi o pudori si riconducevano alle tradizioni progressiste che hanno fatto la Resistenza, scritto la Costituzione e portato l’Italia a quelle poche conquiste sociali e civili che hanno mantenuto in piedi il tessuto sociale democratico italiano. Oggi si è fatta la storia.
Non pensavo di poter arrivare alle lacrime. Sapevo che avrebbe vinto Berlusconi. Sapevo che il mio scettico e non-ideologico voto al Partito Democratico era quasi un gesto scaramantico.
Quello che non pensavo, che non mi sarebbe mai neppure passato per l’anticamera del cervello, è che il voto dei cittadini, ed anche il mio personale, avrebbe portato al dissolvimento di 90 anni di storia.
Dirigenti onesti della Sinistra, perdonateci. Volevamo solo sbarazzarci di Berlusconi. Non volevo uccidervi.
Potrei arrabbiarmi con il popolo italiano, che dimostra per l’ennesima volta di che pasta è fatto. E’ fatto di quella pasta generalmente marrone che tutti noi quotidianamente produciamo.
Ma sono troppo amareggiato.
L’Italia è persa. Vi vedo qualcosa di irrimediabile, nella sconfitta di oggi. Mi sembra di essere ad un punto di non ritorno. Come se una stagione si fosse proprio chiusa.
Come se il tessuto sano del corpo Italia sia stato definitivamente eroso da un melanoma incurabile, al punto che non resta altro da fare che pregare, o staccare la spina.
Vorrei essere più politologico in quello che scrivo. Parlare di come sia possibile ora, superare lo shock e tornare a lavorare per un futuro migliore. Sono convinto che un modo c’è. E’ questo che fa di me un ragazzo di Sinistra.
Ma in questo momento non me la sento proprio. Non riesco.
Forse domani.

La casta dei crasti
di Carmelo Di Gesaro
Si parlava di un’Italia nuova pronta a cambiare, niente più poveri, via alle coppie di fatto e un ritorno anacronistico ai falsi moralisti della legge 194. Secondo me, non cambierà nulla, la casta dei crasti continuerà ad arricchirsi, Bertinotti finalmente potrà tornare a fare opposizione essendo veramente fuori dal governo, Ferrara tornerà a mangiare senza bavaglio e la Santanché tornerà a farla ciarare a Fini e Berlusconi. Insomma, rialzati Italia, si può fare, io ci credo.

Professione reporter (in ufficio)

della Barbiera della Sera

Ma addetto stampa si nasce o si diventa? E se si diventa… perché? Parliamone. Poco, ma parliamone di questo giornalista ibrido, di questo ministro senza portafoglio dell’informazione settoriale. Di questa figura a metà, bistrattata anche dai collaboratori delle più sperdute province, ma invidiata da tutti i componenti del suo ufficio perché al mattino “si legge i giornali”.
Restringiamo il campo. Parliamo della giornalista che di solito fa parte di un ufficio stampa composto da una sola persona: lei. Lei che può appartenere a due specie: con figli e senza figli.
Se la prole è composta da più unità e non può permettersi una governante, Lei si alzerà ogni mattina alle sei e farà una cosa per sé: si laverà. Esagerando si farà anche lo shampoo. Ma non tutti i giorni. Sarà il rumore del phon a svegliare il primo figlio. Quello più piccolo. E con i capelli umidi e gli occhi gonfi di sonno, l’addetta stampa–mamma, sosia della genitrice di E.T., preparerà il latte. Mentre il marito dorme, angelico, l’altro figlio, il più grande, si sveglierà. Lei, per non fargli venire i complessi di inferiorità, dovrà abbracciarlo e farlo sentire importante. Con i capelli umidi e il più piccolo in braccio preparerà la colazione. Mentre il marito dorme. Alle otto meno un quarto uscirà da casa. Con i capelli tesi e umidi. Lascerà il grande a scuola, il più piccolo dalla nonna. E poi, nei dieci minuti che le restano prima di andare al lavoro farà la seconda e ultima cosa per sé, in macchina: si truccherà. Perché Lei è la donna immagine del suo ufficio e non può presentarsi con dei crateri color amaranto sotto gli occhi.
Sorride. Entra in ufficio e sorride. Sorride quando alcuni colleghi le dicono: “Dottoressa oggi non ci siamo sui giornali, ahhhh!”. E l’addetta stampa-mamma con due figli e un marito che dorme beato, che fa? Sorride.
Se quel giorno è masochista, canticchia. Scava nel profondo del suo essere un ricordo, anche lontano, di una bella giornata passata chissà quando e chissà dove. E sorride. Poi legge i giornali: almeno sei quotidiani: locali e nazionali. Perché dev’essere sempre pronta. Per il suo datore di lavoro, che – come disse qualcuno in un film – pur di essere ogni giorno sui giornali, si farebbe chiamare oroscopo, deve sapere tutto. Sorridendo fa una delle cose che inorgoglisce il genere umano (addette stampa e non): le fotocopie. Che fin quando si tratta di fotocopiare un articolo che entra in un foglio A4 va bene. Ma fotocopiare, e riuscirci, un colonnino di destra de “la Repubblica” è un miracolo.
Subito dopo, ecco che arriva il datore di lavoro che le chiede un comunicato stampa su una notizia fondamentale. E lei lo sa che si tratta di comunicato che ha bisogno di una telefonata in redazione. A volte una chiamata giusta, alla persona giusta, che è in un momento giusto, è una ricompensa che rasenta la felicità. Perché Lei lo sa che c’è sempre un collega in ufficio, giornalista “nell’anima” che ha un amico, o un cugino, o un cugino dell’amico che può farlo pubblicare, quel comunicato. Mentre uno si chiede perché continua a fare l’addetto stampa ci sono almeno 50 persone che vorrebbero farlo. Così si telefona al giornale e si cerca il capo. Ma il capo non c’è. E se non c’è il capo, c’è magari un vice capo che quel giorno è particolarmente stanco. Dall’altra parte del telefono c’è sempre un giornalista che sta pensando di trasferirsi in Giamaica. Non ti ascolta e non ti sbatte il telefono in faccia per educazione e cortesia. Dapprima è un dubbio, poi diventa un’angoscia, infine una nevrosi: lo pubblicheranno il comunicato? Perché un addetto stampa lo sa: nonostante le mille assicurazioni, la telefonata, l’agenzia, la pubblicazione è certa solo quando la vedi.
E per quanto intero il comunicato uscirà, per quanto Lei sappia che è stato uno sforzo immane farlo pubblicare, ci sarà chi le farà notare che: a) Poteva andare d’apertura; b) E’ uscito su poche righe; c) Hanno cambiato il titolo; d) Hanno sbagliato un nome.
Le addette stampa senza figli poi si sposano e diventano come le prime (se fanno figli). Uguali.