Fanculo al resto

Lisbona.

C’è un concetto cruciale che governa le esperienze di chi, come me, si imbarca da solo in cammini da centinaia e centinaia di chilometri. Ed è quello di abituarsi a sconfiggere le abitudini. Ad esempio, sto scrivendo dal tavolino di un bar molto rustico sul lungofiume di Lisbona: il tavolino traballa, la gente urla intorno a me, il vino “tinto” è caldino, la tastiera del mio iPad mini mi nasconde l’apostrofo e mi apre in continuazione finestre di funzioni sconosciute. Quindi sono davanti a tutto ciò che normalmente mi farebbe roteare i cosiddetti, eppure resisto con la consapevolezza che resisterò sempre meglio col passare del giorni e\o dei chilometri. Perché scardinare le abitudini è una ginnastica della mente o forse dello spirito (ma non voglio buttarla nel Terzanismo).
Questo preambolo serve a darvi un’idea di come si possono affrontare in modo diverso, non necessariamente spirituale o ginnico o religioso, percorsi come il Cammino portoghese.
Abituarsi è la parola chiave. Abituarsi a cose alle quali non siamo abituati, è la specifica dirimente.
Abituarsi alla fatica dei settecento chilometri del percorso (sui chilometri ci torneremo nel corso di questi diari) è molto più facile di cose tipo: trovare la “ù” o la “é” su questa maledetta tastiera che è poco più larga e infinitamente meno pratica di un iPhone; perdere oggetti nel quotidiano apri e chiudi dello zaino; cambiare letto ogni sera per 28 infiniti giorni; centellinare magliette e mutande; mollare tutto ma proprio tutto dei collegamenti ordinari e dedicarsi solo a se stessi (bella frase da social, ma provate a trasformarla in un concetto solido, senza emoticon).

Quando mi è stato chiesto, in tutti questi anni, qual è l’insegnamento di un’esperienza del genere  ho sempre risposto con l’illuminazione che mi venne, anni fa, al primo passo di una serie che mi avrebbe portato a quasi mille chilometri di distanza: la gioia di indossare un pensiero senza che nessuno si permetta di sgualcirlo. 
Siamo disabituati alla concentrazione, la riteniamo dei guru o dei fanatici. Degli altri più altri che ci siano insomma. E invece è la forma più sublime di cura di se stessi. 
Non sappiamo quando ce ne andremo, né chi ci sarà con noi stasera. Non sappiamo cosa faremo il mese prossimo, se abbiamo riposto fiducia in brocchi e abbiamo snobbato fuoriclasse. E ciò non perché ci manchino doti divinatorie (che palle prevedere il futuro…), ma perché ci manca il pit stop della ragione: fermarsi a pensare, e fanculo al resto.

Qui Lisbona. Zaino leggero, pochi vestiti, infiniti pensieri da indossare, zero abitudini, fisime, comfort, ronzii.
Si parte.  

1 – continua

Tutte le altre puntate le trovate qui.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

2 commenti su “Fanculo al resto”

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