Allam e il partito di Dio

Qualche giorno fa Magdi Cristiano Allam ha dato l’addio al giornalismo e la benedizione a un nuovo partito, “Protagonisti per l’Europa Cristiana”, che segna la sua discesa in campo nel mondo della politica. Non c’è da sforzarsi troppo per intuire la collocazione di questo nuovo soggetto: l’obiettivo è la confluenza nel PPE, quindi indovinate un po’. Ci si sforza invece – anche esageramamente – di capire quali saranno gli alleati di Allam e confratelli. Eppure leggendo attentamente le primissime dichiarazioni del fondatore del Pec (la sigla ricorda più un polimero inorganico che un’aggregazione di esseri viventi) è più interessante chiedersi chi non saranno i suoi nuovi alleati.
Uno che si prende la briga di aprire una simile cordata si suppone che abbia dato un’occhiata in giro, prima. Allora, cosa si sarà detto Magdi Cristiano?
Voglio un partito efficiente come un’azienda.
C’è già.
Voglio un partito che dia di più a tutti.
C’è già.
Voglio un partito minestrone, dove si conviva con gusto (un partito di vegetali insomma, dove si esiste ma non si pensa).
C’è già.
Voglio un partito che riesca a vincere anche quando perde.
C’è già.
Voglio un partito che si onori della sconfitta anche quando ha tutte le carte per vincere.
C’è già.
Voglio un partito che si batta “per il primato dell’etica” e per l’affermazione delle “regole e dei valori”.
Minchia, questo non c’è! Benissimo, facciamolo subito… prima che ci rubino l’idea!
Ora questo partito è alla disperata ricerca di antagonisti, per distinguersi dalle Orsoline o da un raduno di carmelitani scalzi. Il problema è: chi dibatterà contro l’etica, le regole e i valori? Il sub-problema è: come si distinguerà un dibattito tv con Allam dall’omelia di Ognissanti?
L’uscita dell’ex giornalista in odor di pontificato ricorda quella di un tale che ora è suo collega, uno che ha fatto carriera, uno che… diciamo si è fatto assumere come premier. Costui in un comizio urbi et orbi battezzò la sua formazione politica come “il partito dell’amore”, contrapposto all’adunata di debosciati che qualcun’altro chiamava benevolmente opposizione.
L’etica, le regole e i valori sono lidi troppo lontani quando si naviga a vista nella tempesta dell’approssimazione.  Se la politica è l’arte del possibile, partire a strappo verso l’impossibile è un atto di incoscienza se non si hanno mitria e altri paramenti liturgici. Oppure, come si è tentati di pensare, è solo un atto di ipocrisia.

Una nuova casa

Eccoci qua. Questa è la nuova casetta virtuale: certo “casetta virtuale” non è il massimo dell’originalità, ma negli ultimi giorni non è che abbia dormito troppo. Quindi perdonatemi.
Ancora ci sono gli operai in giro, un po’ di calce sul pavimento, mancano quadri e tappeti. Però i servizi sono funzionanti e l’accoglienza è garantita. E poi c’è l’architetto che sorveglia…
Mi piacerebbe sapere che ne pensate e, soprattutto, come mi vedete coi vostri browser.

Provenzano e i veri mascalzoni

Per anni la mafia è stata silenzio e azione, un micidiale connubio di pazienza e crudeltà. Boss, semplici affiliati, familiari non hanno mai sprecato parole per difendersi, rimproverare, attaccare. A parte rare eccezioni “di rango”: Riina che se la prendeva con Violante, Caselli e i comunisti; Bagarella che tuonava contro “i partiti che ci strumentalizzano”.
Le parole possono essere pietre, ma in fondo le pallottole sono più efficaci. Del resto la mafia non ha mai pensato a un’intifada: se proprio voleva concepire un’azione corale di “resistenza” piazzava qualche quintale di tritolo per strada e buonanotte ai suonatori.
Ora sembra esserci un singolare cambio di strategia. I figli del boss Bernardo Provenzano concedono un’intervista a un trittico di giornali: la Repubblica, la Stampa e il Giornale, e non vi sfuggirà la trasversalità di questa scelta, da sinistra a destra il pubblico è garantito.
Il succo del messaggio affidato agli inviati dei tre quotidiani è questo: “Basta con questa mascalzonata del gossip sulla nostra famiglia”. Traduzione: c’è chi ci ha rotto i coglioni pubblicando le lettere private tra noi e nostro padre quando lui era latitante.
Bersaglio degli strali è il mensile “S” che nel numero in edicola racconta i segreti di famiglia del superboss.
I parenti del mafioso parlano, elucubrano davanti ai taccuini, si aprono: ecco il cambio di strategia. Attenzione però, non sono i protagonisti a rendere eccezionale questo evento, quanto l’ambito, il coro. I giornalisti che raccolgono la “preziosa” testimonianza infatti amplificano l’attacco frontale a un organo di informazione senza preoccuparsi di scremare, puntualizzare. Non so quanto pesino i virgulti del superboss nell’organigramma di Cosa Nostra, né conosco le loro reali intenzioni. So però che Palermo non è Paperopoli e che la Repubblica, la Stampa e il Giornale non sono il Papersera.
Sarebbe bastato corredare l’intervista con un corsivo (non dico un fondo!) in cui si suggeriva come gustare la pietanza ammannita dai Provenzano che, tra l’altro, spiegano il fenomeno mafioso in modo non dissimile da come lo raccontò il boss Luciano Liggio a Enzo Biagi nel 1989. E che fanno passare Falcone e Borsellino per poveri fessi, giudici “immolati sull’altare della ragion di Stato”.
Sarebbero bastate un paio di righe a margine per ricordare ai lettori più disattenti, e soprattutto a quelli malevoli, che i due magistrati sono stati ammazzati dalla consorteria criminale di cui Bernardo Provenzano è stato capo per decenni e non da una squadra di agenti segreti travestiti da candelotti di dinamite. Sarebbe bastato spiegare che le colpe dei padri non ricadono sui figli per default, ma che i figli non possono fare di quelle colpe uno scudo contro l’evidenza.
Un evento eccezionale, sì, questo muro del silenzio che si sbriciola. Eccezionale per le briciole che messe insieme si fanno pietre. Scagliate da mani che hanno appena deposto penne e taccuini.

Il tuono di E Polis

di Tony Gaudesi

Tanto tuonò che piovve. Ma tra il fulmine di Metro a Milano nel 2000 e il tuono di E Polis di ieri a Palermo sono passati quasi nove anni. Tanto c’è voluto perché il fenomeno free press, la stampa gratuita, dopo aver attraversato lo Stivale, arrivasse anche a toccarne la punta. Adesso, grazie ad E Polis, il quotidiano gratis è una realtà a Palermo, città fanalino di coda anche nell’ipotetica classifica dei fruitori della stampa free. Persino cittadine come Bari, Taranto, Como, Varese e Padova possono dirsi veterane al confronto. E Roma può confermarsi capitale, con diverse testate (Leggo, City, Metro, DNews) e svariate decine di migliaia di copie da offrire ai suoi abitanti. Anche nel pomeriggio, con 24 minuti, il giornale postprandiale del Sole 24 ore.

Piovve, dunque. Finalmente. Ma tra uno scroscio di copie e l’altro (se ne annunciano 30.000 al giorno disseminate in circa 800 punti di distribuzione) bisognerà capire quanto lo sbarco sia stato tempestivo rispetto alla crisi che galoppa e quanto potrà rivitalizzare la comatosa informazione nostrana.
Perfino Metro (la pionieristica testata diffusa in tutto il mondo) sta facendo i conti con inserzionisti in fuga e bilanci a dieta. E nel resto del mondo se non è un pianto greco, poco ci manca: un quarto dei quotidiani gratuiti ha gettato la spugna, soprattutto in coincidenza di semplici fasi di contrazione economica (2001/2002 e 2006/2007) e non certo della terribile recessione dei giorni nostri.
Prossimo allo zero dovrebbe essere, invece, lo stimolo per la stampa locale. La free press – dice l’ Eurisko – pesca soprattutto tra i lettori non abituali e, quindi, non dovrebbe rosicchiare copie ai giornali tradizionali. Un ritocco al look – e magari anche ai listini pubblicitari per evitare la diaspora degli inserzionisti – e la controffensiva è cosa fatta. Con buon pace per chi auspica qualche notizia condominiale in meno e qualche giornalista in organico in più.
La carta di identità di E Polis, nonostante i 5 anni nemmeno compiuti, ci racconta una serie di vicissitudini. Fondato dall’editore sardo Nicola Grauso nel 2004, il giornale aveva sospeso le pubblicazioni nel 2007 prima del salvataggio e conseguente ritorno in pista grazie all’accoppiata Alberto Rigotti (finanziere trentino alla guida della banca d’affari Abm Merchant e attuale editore) e Marcello Dell’Utri, con toccata e fuga di quest’ultimo, dimessosi nel febbraio scorso dal consiglio di amministrazione e da tutti gli incarichi nel gruppo. A firmare la testata è Enzo Cirillo, che ha ricevuto il testimone da Antonio Cipriani, ex direttore de l’Ora.
Cambiati i vertici si spera cambi anche il modus operandi. Pare infatti che i pagamenti di giornalisti e collaboratori lasciassero a desiderare, come si evince da numerose proteste disseminate nel web da chi ha abbandonato la nave, ma non la speranza di riscuotere i crediti maturati, e cerca di catturare in rete le dritte per poter battere cassa.

Palermo, che grinta

Avevo studiato un po’: politica, situazione internazionale, economia.
Poi ho visto Palermo-Milan.
A nulla sono valsi i due rigori concessi ai rossoneri, il tifo milanista dei telecronisti di Sky e un arbitro che ha concesso il recupero del recupero.
Tre a uno, con grinta e classe.
Alè!