Chiedete a Salvatore (Totò) Rizzo qualche riga autobiografica e vi sentirete rispondere con la sua voce squillante (che magari imita un attore, un presentatore, un collega…): “Ma che ti devo dire? Lo sai, faccio il giornalista da trent’ anni e solo per mestiere mi sono sempre occupato di soubrettes e ballerine”. Se insistete, scoprirete una persona fiera “d’aver trasmesso nei tre figli il virus dell’ironia”, che sogna “ormai una vita tranquilla ma non per questo ciabattante”. Altro, Totò? “Non lo so, non le so fare queste cose… Ah, potresti mettere che per puro caso non sono nato a Bolzano dove sono stato concepito. E che il mio problema non è cosa voglio fare da grande (quello lo so, il caratterista nelle fiction tv) ma che forse non mi è mai andato giù di fare il ‘grande’. Ti prego, sbrigatela tu”.
Carissimi amici e amiche, perdonate se esco fuori dal seminato con una digressione futile al limite della provocazione ma credo (sono ahimè nato cultural/spettacolista e temo che tale morirò, fra una decina d’anni, quando busserà la pensione Inpgi) che anche questo mio campanellino abbia a che fare col tema informazione e omosessualità. L’altra sera, Raiuno ha sancito con la nuova edizione di Carràmba il debutto della prima serata friendly della tv pubblica italiana e della sua rete generalista. Beh, più che friendly eravamo catapultati nello stereotipo spinto: a parte l’icona Raffa tappezzata dal solito Sabatelli, il ritorno dei 40 bonazzi a farle da contorno con le canzoncine alla Macao di Boncompagni (siamo bellissimi ma non feròci, faceva, sottotitolato a dovere con l’accento sulla “o”, uno dei jingles); se non ho capito male, il gioco della Lotteria Italia sta proprio nell’indicare dal numerino sul torace palestrato il più bbbbono fra i 40 e votarlo; lo stesso Boncompagni en travesti in versione zia mattocchia; il duetto da serata al Muccapazza con Renatino Zero; il medley degli Abba. Spero a questo punto in una “carrambàta” a tema omo in una delle prossime puntate, tra un Tiziano Ferro e un’antologia musicale dei Village People. Adesso, secondo voi, ci sarà uno straccio di giornale che s’accorgerà di questa straordinaria “rivoluzione” di Fabrizio Del Noce & Co.? Non so se lo show fosse davvero figlio di un progetto “mirato” (tendente quantomeno a recuperare tra la cosiddetta comunità gay qualche briciola di share in una serata come quella, televisivamente insidiosa in termini di ascolti) però anche di questo bisognerebbe scrivere (io non posso perché ho avuto un piccolo incidente di salute e sono in malattia) sulle nostre meravigliose gazzette e non soltanto sui nostri siti web e sui nostri blog. Ma questo è cascame, mi direte, sottocultura. Sì, proprio come quella delle interviste a caldo sul disastro aereo di Madrid dove i nostri cari colleghi ficcavano il microfono sotto il naso delle cugine di Domenico Riso per sentirsi ambiguamente/allusivamente raccontare che “era un uomo che amava in bello in ogni sua forma, aveva un gusto eccezionale, stravedeva per l’opera lirica, aveva una casa stupenda a Parigi, arredata con uno stile meraviglioso” e tra me e me dicevo “speriamo che domani non piombi La vita in diretta per una visita postuma nella casa del poverino e la solita inviata scema scopra l’intergrale discografica Callas/Dalida/Mina/Patty Pravo…”. Questo non è cascame, nè sottocultura: anche questa è la stampa, o se volete, la Comunicazione, bellezze.