«Ma che c’entrano le abitudini sessuali, le pratiche coniugali, le tradizioni, le convenzioni e gli umori con la morte in un disastro aereo? In base alla logica sessuocentrica dell’Arcigay, i giornali e le tv di un Paese come l’Italia, che ha le sue gravi rogne ma è ancora civile e sa tenere lontana la tragedia dalla farsa, avrebbero dovuto involgarirsi, come purtroppo ha fatto l’onorevole Grillini, e dunque indagare e raccontare – “senza ipocrisia” perbacco – quanti, tra i sessantenni a bordo usavano il viagra, e quanti avevano pratiche feticiste, e quanti erano i transessuali e i bisessuali, e ancora quante mogli e quanti mariti ha avuto ciascuna vittima, e quante erano le vergini…».
Lo scrive Francesco Merlo in un editoriale su Repubblica che ha ricevuto, l’indomani, la risposta del nominato Grillini. L’intrico è il seguente. Domenico Riso, lo steward palermitano morto nella tragedia aerea in Spagna, era un omosessuale in viaggio – parrebbe – col compagno e col figlio del medesimo. E se non fosse esattamente così varrebbe la pena lo stesso di ragionarci su, perchè i fantasmi, talvolta, suscitano problemi reali. L’Arcigay, in una nota, ha lamentato la condotta omissiva dei media italiani che – Corriere a parte, in un bel pezzo di Giusi Fasano – non hanno sottolineato il particolare. Merlo ha bacchettato come sappiamo. Perchè questa incursione nel privato? Perchè questo supplemento di informazione? Perchè questa fissazione sui gusti sessuali? Vuoi vedere che proprio l’associazione che rivendica i diritti dei gay è omofobica e tarata dal marchio della diversità a tutti i costi, nel bene e nel male? Mi sembra un utile sentiero di discussione, uno di quei canovacci che indicano il senso di marcia di una società. Insomma, forse non ce ne rendiamo conto, ma siamo davanti a una sottile linea di confine.
Solitamente ammiro la vis polemica di Francesco Merlo che spesso illumina gli angoli d’ombra dell’ipocrisia con la sua lanterna intelligente. Però, stavolta, secondo me – nonostante certi ossessivi isterismi dell’ambiente omosex per cui, talvolta, solo gay è bello – ha torto. Non parliamo di gusti o inclinazioni sessuali, il problema è l’identità sociale, la rappresentazione di qualcosa. Proprio il senso dell’identità per cui padre, madre e figlio periti rappresentano una famiglia (giustamente), mentre poi i giornali usano complicate acrobazie verbali per scrivere di due uomini e un bambino «inopinatamente» insieme. Molti hanno fatto capire tra le righe quello che non hanno avuto il coraggio (?) di dire. Non c’entra l’andare a letto con questo o con quello e scavare tra le lenzuola. Il bersaglio si sposta sul piattello del riconoscimento sociale e si avvicina alla già citata linea di confine. Quando muoiono un uomo, una donna e un bambino, noi li piangiamo due volte. Come individui e come famiglia distrutta, secondo lo specialissimo legame d’amore che li teneva uniti. È possibile lasciare sgorgare identica pietà e identico rimpianto – come singoli e come qualcosa di altro – per due uomini e un bambino, al netto delle barzellette sui finocchi?
Per me sì.