Ho un vizio tremendo: mi piace essere trattato bene. Quando ho a che fare con un commerciante o comunque con qualcuno che presta servizio in cambio di moneta, valuto in uguale misura l’accoglienza e l’opera. E quando mi rendo conto che la persona che ho davanti mi concede la sua attenzione con cortese professionalità, mi dimentico di essere un aspirante tirchio (nella mia proverbiale incompiutezza non riesco a ottenere la qualifica piena).
Ieri ho portato l’auto in officina per fare il tagliando. E’ un’auto di ottima marca, anche se è un modello base: niente lusso, cilindrate esagerate, accessori da sultano (mi hanno detto che i sultani vanno di moda per ora). La concessionaria di Palermo è una piccola oasi di efficienza e rapidità in una città, la mia, che reputo profondamente maleducata. E’ amministrata (la concessionaria) con furba determinazione: cattura l’automobilista con minuscoli accorgimenti e lo fa sentire una specie di nababbo. Dal riconoscimento (nome e cognome) del cliente quando è ancora all’orizzonte, al briefing col capo meccanico. Dalla dolce insidia di decine di servizi aggiuntivi a pagamento, al tassì che ti riaccompagna (e ti viene a prendere) a casa gratuitamente.
Il conto, inutile dirlo, è un po’ meno che astronomico. Ma alla fine ti resta quella pericolosissima illusione che sono soldi ben spesi. E ci torneresti l’indomani, magari per farti accendere l’autoradio. O semplicemente per sentirti trattato con rispetto da qualcuno che non ti conosce.