La casetta bianca

Con questo articolo Roberto Puglisi, giornalista e infaticabile sostenitore della grandezza dei minuscoli, inaugura la sua rubrica. Molti di voi lo conoscono già e non potranno che apprezzare. Agli altri porgo l’invito per una lettura non qualunque.

di Roberto Puglisi

Immaginate un prato pieno di fiori. E, nel prato, una casetta bianca. È l’incipit di Pierino e il lupo, per come lo ricordo io. Nell’edizione che posseggo, il narratore è Eduardo De Filippo. Pronuncia la frase iniziale con una lieve inflessione napoletana. Una schiumatura di caffè, zuccherato come piace a me.
L’esordio dell’opera di Prokofiev mi è venuto in mente leggendo la storia di tre fratelli matti di Misilmeri. Una sorella è morta, gli altri due si sono asserragliati in una casa colma di rifiuti per evitare che quelli dell’ambulanza prelevassero il cadavere. Mi è tornato alla memoria Eduardo per contrappasso, per la discrepanza tra la cronaca e il sogno. Erbacce incolte (un prato pieno di fiori), una catapecchia (una casetta bianca), popolata da strani fantasmi, rischiarati dal lume della loro follia (lì dentro ci abita un ragazzo. Si chiama Pierino). È bastato rovesciare la trama delicata che precede la musica nel disco, per avere davanti esattamente quello che il Giornale di Sicilia narrava, in un bel pezzo scritto da Antonella Folgheretti. Ho sentito l’ansimare degli altri due fratelli – un maschio e una femmina – che scoprono il corpo della sorella Caterina. Poi si chiudono dentro. Arrivano quelli dell’ambulanza e vengono respinti. Arrivano i carabinieri. La catapecchia viene cinta d’assedio. Non è la prima volta. Quarant’anni fa la stessa famiglia si barricò per evitare il ricovero di un congiunto in un ospedale psichiatrico. Elettrificarono la porta e spararono – si dice – un paio di fucilate. Stavolta si sono limitati all’essenziale, perchè l’esperienza insegna qualcosa a tutti. Hanno sbarrato l’ingresso. Un fratello ha brandito una pistola, come dissuasore. Un cane da discarica abusiva ha ringhiato agli assalitori. In tre circondati dal mondo, da quel paese che li chiama “i morti”, che ride, quando passano, che non ha mai guardato nei loro cuori, oltre il velo della malattia, perchè è difficile, se non impossibile, riuscirci. Perchè mai avrebbero dovuto lasciarlo entrare? Si sono difesi, fino a sera. Hanno custodito la sorella che non volevano abbandonare neanche al cimitero. Hanno lottato con la forza della pazzia, fino all’irruzione dei carabinieri. Si sono battuti per sovrumano, lercio e incomprensibile amore. Forse avevano tanto da proteggere. Forse vedevano tutto intorno un prato pieno di fiori. E, nel prato, una casetta bianca.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *