Contro i call center

Avete fatto caso come gran parte della nostra vita sociale sia regolata dai call center? Non c’è servizio che non sia filtrato da una voce sintetica, monocorde e falsamente rassicurante. Unica variante la musichetta di sottofondo.
Dopo un tempo estenuante di attesa e dopo essere stati costretti a prendere appunti per azzeccare l’opzione giusta, se si è nati con l’ascendente giusto, si riesce a parlare con un operatore in carne e ossa (e corde vocali). E qui si sfiora l’esaurimento nervoso.
Il principio di anonimato – anche se dall’altro lato del filo vi vengono forniti talvolta nomi di battesimo o codici identificativi a sette cifre – è la tomba di ogni speranza. Mi sono imbattuto in operatori che mi rimproveravano perché richiamavo nel giro di due ore: “E perché richiama? Deve seguire le istruzioni che le abbiamo dato la prima volta”, “L’ho fatto, ma non funziona”, “Non è possibile, chissà che ha combinato”, “Ma le dico…”, “Non dica, faccia!”, “Faccio!”, “Ha fatto male allora”.
Oppure ci sono quelli che quando si trovano alle strette (cioè quando sono costretti a dare risposte univoche) fanno cadere la linea.
O ancora trovi quelli esauriti in vena di confidenze: “Sapesse quante persone mi hanno chiamato oggi col suo stesso problema”, “E… lei che ha detto. Lo dica anche a me così risolvo tutto”, “Ho detto quello che le sto dicendo: che siete in molti con questo problema!”.
La casistica è infinita, come la lista dei numeri verdi.
Se ci fosse un partito per l’abolizione dei call center mi ci iscriverei col solo obiettivo di diventarne segretario nazionale.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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