Stasera su Raitre, a scanso di sorprese, Adriano Sofri, condannato a 22 anni per l’omicidio del commissario Calabresi, sarà ospite di Fabio Fazio. Come saprete, c’è una lunga scia di polemiche. Non è la prima volta che Sofri viene intervistato, ma stavolta ha ottenuto il permesso del giudice per lasciare i domiciliari e andare nello studio televisivo, e per la prima volta parlerà in diretta.
Sofri è accusato di un reato gravissimo, ma è anche al centro di una controversa ricostruzione giudiziaria. Alcuni di voi conoscono il mio morboso attaccamento alle regole, al rispetto delle norme. Il discorso potrebbe chiudersi qui. Però, in questo caso, credo che ci sia da fare qualche considerazione.
Adriano Sofri è, al di là della sua fedina penale, un intellettuale che si è guadagnato la fiducia letteraria del Paese. Ha scritto, da detenuto, pagine di grande valore. E la vita ci insegna che, nella storia, il valore sta nei concetti non nelle mani che li plasmano.
Va da Fazio a presentare il suo ultimo libro e non sarà tappandogli la bocca che si restituirà giustizia alla famiglia Calabresi. Anche perché Sofri, in questi anni, si è distinto come artefice di una cultura pacata e senza rabberciamenti. Non è Vallanzasca. Le sue opere possono piacere o non piacere. Ha il diritto di parlarne fin quando non approfitta del mezzo che gli viene concesso. La sua pena non è sospesa per i minuti della trasmissione. Anzi – credo – che gli peserà ancor di più.
Non c’è verso che valga la libertà se non nasce libero.