Qualche mese fa vi trasmisi le mie angosce per via dei traslochi. Quest’anno ne ho fatti due in otto mesi, con vari traslochini intermedi. Scrivo da un computer di fortuna annebbiato dalla polvere e con tasti come quello della e accentata che non funziona. Intorno a me, macerie di cartoni e sventolii di nastro da imballaggio. Sono senza porte: dalla cucina e’ (notate l’ausiliare ortograficamente artigianale) un solo panorama che finisce nella stanza da bagno. Ingurgito panini con prosciutto ed emmenthal (colazione, pranzo e cena) da due giorni: ho un fegato che sembra un’asse da stiro. Consumo più libretti d’assegni che carta igienica. Dormo poche ore a notte: persino la sveglia mi tira giù dal letto sbadigliando. Uso le sedie come tavoli, i tavoli come armadi, e gli armadi… non ce li ho. Però sono contento, perche’ spero che questo trasloco sia l’ultimo. Purtroppo di “ultimi” traslochi e’ (!!!) fatta la nostra esistenza: come gli ultimi amori, gli ultimi tram, l’ultimo spettacolo e l’ultima notte. In realtà scegliamo di farci male con qualcosa mascherato da novità. La felicità in fondo è uno dei postumi del combinato dolore-fatica.
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