Perché in uno dei maggiori premi letterari italiani, con eccezionale appendice televisiva, si sceglie di far leggere brani di libri italiani a una persona che non conosce bene l’italiano? Al premio Campiello 2007, sabato sera, è andato in onda un curioso esempio di inconcludenza tricolore. Nel nome di un anelito all’apertura del nostro mercato letterario nei confronti di altre nazioni (la Spagna in questo caso), gli organizzatori hanno tirato fuori dal cilindro l’invenzione più geniale: far declamare alcuni brani dei romanzi finalisti a una incolpevole lettrice ispanica che non ne ha azzeccata una.
Il problema non è di carattere nazionalistico: non ce n’è mai fregato niente delle nostre radici, figuriamoci degli accenti. La questione, secondo me, è invece puramente logica.
In nessun altro Paese del mondo – ne sono convinto – scelgono di far rappresentare un prodotto tipico a uno straniero. Per rispetto dello straniero, innanzitutto. In un premio letterario poi la questione diventa cruciale. Siamo una nazione che legge pochissimo e che per giunta, nei rari spazi in cui la diffusione mediatica potrebbe essere un massaggio cardiaco al torace immobile dell’editoria, si affida a un forestiero.
Tornando alla domanda d’apertura. Perché ci comportiamo così?
Semplice. Perché siamo stupidi, guidati da stupidi che ci trattano come ci meritiamo. Da stupidi.
Nella foto, Mariolina Venezia, vincitrice del Campiello 2007 con “Mille anni che sto qui” (Einaudi).