Silvio Berlusconi ha registrato, per mano della sua ultima creatura bionica Michela Brambilla, il Partito della Libertà. Lo ha fatto (fare) per tutelarsi, per evitare che “qualcuno si impadronisse di questo nome”.
Il fatto che il leader dal ciondolo prezioso (quello che porta al collo) si preoccupi tanto del brevetto di un simbolo così originale la dice lunga sulla sua concezione politica. Chi altri potrebbe sventolare una bandiera così universale come quella che porta i colori e i significati del Par-ti-to-del-la-li-ber-tà? Solo lui, unico guardiano del tempio della democrazia, incarnazione del giudice sommo che malsopporta i giudici ordinari. Il PdL è il baluardo contro tutti gli illiberali comunisti, i cultori dell’odio legislativo, gli industrialucoli che pagano tutte le tasse, le serpi omosessuali, i fanatici della legge uguale per tutti. La Brambilla è la figura ideale per promuovere la storica transizione che sommergerà in un oceano di cocktail quella del misero Partito Democratico: una donna milanesissima, algidamente carina, telegenica, dall’eloquio basilare ma confortevole, orgogliosamente elegante, magra quanto basta per farne un simbolo che non sia il bastone della bandiera.
Con il PdL si naviga dritti verso un bipolarismo blindato: da un lato chi ha comprato il brevetto della libertà (un tempo erano le libertà tutte, oggi forse qualcuna resterà di pubblica fruizione), dall’altro tutti gli altri.